Masterclass number one, il video che chiude la prima personale italiana di
Edgar Amroyan (Yerevan, 1979), in realtà è la chiave d’interpretazione di tutti gli altri lavori in mostra.
Lo schermo è diviso in due parti: da un lato scorrono le immagini dei violenti scontri di piazza avvenuti a Yerevan il 3 marzo 2008, dall’altro l’artista mostra come si sono svolte le cariche della polizia e le conseguenti reazioni dei manifestanti, con l’aiuto di disegni e dimostrazioni pratiche. La prima parte del video, quello con le riprese degli scontri reali, non è mai stato mostrato alla televisione armena – ne esistono solo alcuni frammenti su Internet – poiché il controllo e la relativa censura della stampa e delle emittenti televisive da parte del governo è rigidissimo.
Le riprese mostrano che i dimostranti occupavano pacificamente la piazza principale della capitale armena, per comprovati brogli elettorali nella salita al potere del nuovo premier, quando, alle sei del mattino del decimo giorno consecutivo di protesta, completamente inermi e quasi tutti addormentati, sono stati violentemente caricati dalla polizia.
Gli scontri, nel racconto ricostruito da Amroyan, con tanto di sonoro, sul lato destro dello schermo, vengono descritti come una vera battaglia campale: la carica della polizia in formazione “a tartaruga”, con gli scudi a proteggere gli squadroni da tutti i lati, la risposta con sassaiole “a pioggia” dei manifestanti, molotov lanciate sull’asfalto per impedire l’avanzata della polizia e donne con acqua bollente dai balconi. Insomma, uno scenario di tipo medievale.
Alla fine i “caricati”, avendo raggiunto di corsa alcuni cantieri edili, hanno iniziato a utilizzare tutti i materiali di risulta contro le forze dell’ordine e la guerriglia si è conclusa nel sangue dei manifestanti, morti per i colpi d’arma da fuoco sparati ad altezza d’uomo.
Questa mostra, con i suoi lavori, è il racconto di quella notte che ha cambiato definitivamente l’Armenia, la quale dal 1991 ha raggiunto l’indipendenza dall’ex Unione Sovietica ma che, in pratica, vive ancora nella dittatura. I quadri di Amroyan, tutti oli su tela dall’approccio realistico, riproducono in grande scala, sgranandole, immagini a bassa definizione degli scontri, scaricate da Internet. Infine, la nitida immagine di uno scaffale con bottiglie vuote di alcool, scolate fra amici e poi trasformate in molotov, dimostra come la guerra civile per questi giovani non è finita ma, al contrario, sono sempre pronti a ricominciare a combattere per conquistare i loro diritti civili e le libertà negate.
Per citarne solo una: per poter venire ad allestire e presentare la sua mostra, Edgar Amroyan ha ottenuto un permesso di uscita di dieci giorni esclusivamente sotto garanzia scritta del suo gallerista.
Lo sdegno più forte dell’artista risiede nel fatto che l’Unione Europea sa. Sa tutto. Ma fa finta di non vedere cosa accade in stati come l’Armenia, Azerbaijan, Georgia, Moldova, e in tutti i paesi a sud della Russia. L’Unione Europea sa tutto e semplicemente chiude gli occhi.