Raucci Santamaria, con concisa coerenza, sceglie ancora una volta di affiancare due artisti distanti, che si incontrano in una serrata correlazione tra criterio e sentimento, emozione e visione.
Frédéric Pradeau e Padraig Timoney creano, nei due spazi della galleria, un’esposizione dal ritmo alterno. Muovendosi ognuno separatamente, caratterizzano il proprio intervento senza mai temere il riflesso dell’altro. Nessuno dei due sembra perdersi nel confronto, ma i possibili paralleli tardano a formarsi in una mostra che mantiene una forte e ferma complessità.
Il fascino dell’opera di Pradeau nasce da un’esatta collocazione dei contrari. Oggetti senza tempo, sintesi di strutture mentali diverse, di un passato e di un presente. Così si ritrova il senso di un lungo specchio verticale appoggiato su una delle pareti che riflette delle scarpe sportive esageratamente grandi: la percezione e l’immagine mentale ritrovano le necessità del riflesso e le fatalità dell’abbandono. A questo allestimento “emotivo” segue un’altra visione che dissolve ogni sentimento chiamando in causa la geometria: un cerchio e di un semicerchio rossi -legno e plastica- documentano una realtà controllata ed esatta, intera e sezionata. Una realtà precisa spettatrice di una dialettica che, tra fascinazione e simbolismo, torna poi a giocare con il movimento delle emozioni: una scatola quadrata di neon, poggiata sul pavimento, illumina di azzurro un piccolo cumulo di sabbia bianca. Sono opere che nel trasformare il ricordo (gli oggetti) in memoria (ogni loro azione: illuminare, specchiare, assistere) si liberano del peso di essere soltanto oggetti in mostra e costruiscono una nuova, possibile realtà.
Le opere pittoriche -in forma d’installazione- di Timoney, si fondano invece su una dialettica sospesa tra ordine e diversità, un laborioso incontro tra il senso comune e le sue interpretazioni. Le tele hanno un rapporto di reciproca conoscenza ma mai di dipendenza. Ogni soggetto è volutamente diverso dall’altro, ogni tecnica pittorica differente, così come differenti sono anche i formati delle tele. Le immagini si scompongono in frammenti e parti sempre più spiazzanti nelle loro “riprese” delle banalità quotidiane. In tale lettura l’operazione artistica condotta da Timoney sembra avere la forma di un racconto. Le tele creano un montaggio di suggestioni diverse ed impreviste: due scritte, che riprendono una font da display stradale, seguono una natura morta, pannelli astratti in successione si accostano ad eclettiche opere figurative. È in azione un meccanismo artistico che, individuando le modalità e le collocazioni delle opere all’interno dello spazio espositivo, permette la nascita di entità nuove.
Istantanee di un mondo apparentemente traballante, alla cui realtà coincide un’esclusiva e fredda immobilità che lascia ravvisare il germe di una nuova importante interpretazione dello sguardo.
lino sinibaldi
mostra visitata il 7 ottobre 2005
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mostra a due faccie: buono come sempre Timoney, perplessità per gli ultimi lavori di Pradeau.