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L’hashish sarà, per le impressioni e i pensieri familiari dell’uomo, uno specchio ingranditore, ma pur sempre uno specchio”. Sembra ispirarsi alle parole di Charles Baudelaire il lavoro a quattro mani di
Todd Pavlisko (Chicago, 1958) e
Maximilian Schubert (Chicago, 1974), insieme come collettivo
Sleep per la loro prima esposizione italiana negli spazi napoletani del gallerista Guido Cabib. Un percorso abitato da sculture e ready made che si sdoppiano, talvolta si ripetono ossessivamente, per raccontare la volontà di riscatto dell’uomo nei confronti di una vita parca, anonima e meccanicizzata.
Tale impeto di rivalsa viene individuato nella tendenza ad alterare il dato reale, in un’allucinazione della percezione che non può, per due artisti tutto genio e sregolatezza, trovare simbolo migliore se non nel bongo, motore e principio primo della ricerca, nonché anticamera del progetto d’allestimento. L
a sua presenza costante e quel mimetismo che ne fa, all’occorrenza, candeliere, vaso da fiori, complemento d’arredo, suggerisce la trasfigurazione dell’oggetto in feticcio, in luogo dove riposa il mito del vincente contemporaneo.
Rispondono a quest’intento anche gli occhiali da sole di un rosso fiammante, modaioli e gettonatissimi, dietro cui nascondere tentennamenti e frustrazioni, per ostentare invece sicurezza e dominio di sé: icone del bello, diventano testimoni di un sogno di totalità, della possibilità di ciascuno di essere tutto contemporaneamente.
Ma dai sogni si ritorna bruscamente alla realtà e questi stessi oggetti rivelano un volto nuovo, hydiano, la loro dose di amara disillusione: il bongo ripiegato su se stesso giace molliccio e “sgonfio” su una roccia, dove neppure un sottilissimo, impercettibile filo d’erba sembra parlare di rinascita; la sua presenza appare, piuttosto, casuale e priva di qualsivoglia valenza. Sul bongo rimane appesa la nostra genuina animalità, ridotta ormai a un “involucro” di pelliccia, confinata in una dimensione illusoria e vacua, mentre gli occhiali da sole si tingono di un più anonimo e umile nero. Anche le immagini di arcobaleni e raggi di sole – a loro volta speranze di riscatto cultuali – vengono confinati nel mondo patinato e costruito di una rivista: dai paradisi artificiali si passa bruscamente ai deserti del reale.
È dunque un viaggio nelle stanze della mente quello proposto dal duo. Un viaggio che lascia emergere lo stato di frustrazione legato allo scarto esistenziale tra essere e volontà d’essere: “
Gli uomini si muovono tra fondali e colonnate, attraversano tenebre attratti da glorie di luce”, scrive Cesare Segre. “
Per poi accorgersi che è una giostra vana, che il loro aggirarsi è senza scopo e senza senso. La pazzia è dunque un’illusione confortante”. Sleep come Spleen.
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complimentoni, davvero illuminante