Non è la Napoli crudele di
Gomorra. Non è la Napoli chiassosa e brulicante di vita che un po’ tutti conoscono. E non è la Napoli di
Sirene, il precedente ciclo pittorico di
Tommaso Ottieri (Napoli, 1971), dove i cieli della città partenopea apparivano solcati da raid aerei, creando l’inquietante atmosfera di una guerra imminente.
Piuttosto, quella della mostra
Grace è una Napoli che si compiace delle sue bellezze, dei suoi palazzi e dei suoi panorami. Una città priva della presenza umana, un palcoscenico abbandonato dagli attori, ma sul quale non è ancora calato il sipario. Non c’è bisogno di inventarsela, una scenografia, laddove anche gli angoli più nascosti si trasformano in scorci suggestivi, pronti per essere “catturati”.
Eppure, l’occhio di Ottieri, fotografico e poi pittorico, non si accontenta del dettaglio: lo trasforma in insieme. Dal disegno acquerellato, prima traccia esecutiva, alla collazione dei grandi pannelli, è tutto un aggregarsi di particolari, colori e prospettive. “
Disegno il dettaglio che mi ha colpito”, dice l’artista, “
e poi lego i diversi dettagli tra loro, compiendo il procedimento inverso rispetto alla prassi accademica”.
Precisione e razionalità da architetto sono in qualche modo rinnegate; il risultato ottenuto è tutto uno sfasarsi di prospettive, con gli edifici in equilibrio precario che si mostrano da insolite angolazioni. Il procedimento dell’assemblaggio visivo diviene poi materico, testimoniato dalle evidenti cuciture che corrono ai bordi delle singole tele. Cicatrici, più che rammendi.
Le pennellate sono intense, la pittura pastosa; le luci artificiali delle vedute notturne nella prima sala si amalgamano tra loro, in netto contrasto con le zone in ombra. L’azzurro di Napoli tinge il cortile interno di un palazzo in corso Vittorio Emanuele, dando quasi l’impressione di un ambiente marino. È invece il giallo a fare da padrone nei dipinti “diurni” della seconda sala, un omaggio alla pietra locale ma anche agli sfarzi barocchi che contrassegnano gli spazi interni di più d’una chiesa napoletana.
Non c’è solo realismo, però, nei lavori di Ottieri. Molti dei soggetti sono trasfigurati nel loro essere icone cittadine, creando problemi di riconoscimento persino a chi è nato e cresciuto in questa città. È il caso di Palazzo Donn’Anna, sovrastato da edifici laddove ci si aspetterebbe di vedere solo mare. Ed è il caso del Duomo, con le navate laterali che s’inclinano vertiginosamente, “
a suggerire la posizione delle mani dei fedeli nel ‘Pater noster’”, scrive la curatrice Giovanna Procaccini. Licenze poetiche che diventano brecce d’irrealtà, pensate per conferire maggior teatralità alla città che, il teatro, lo porta nel sangue.
Anche la traccia espositiva si può leggere così come trama narrativa: dalla notte al giorno, dal buio alla luce. Un modo per dire che, prima o poi,
‘a nuttata adda passà.