Per Max Neuhaus (Beaumont, 1939 – Marina di Maratea, 2009), l’ambiente è una variazione di pressione e rarefazione dell’aria che agisce meccanicamente sul timpano per essere decodificata dalla corteccia cerebrale, attraverso il nervo acustico. Se lo spazio è una formulazione tradizionalmente a favore della visione, come composizione tra estensione, forma e colore, per il musicista statunitense all’equazione deve essere necessariamente aggiunta la sfera delle sensazioni uditive, ambito di interpretazione indispensabile per una reale presa di coscienza di ciò che ci circonda, condizionando la nostra esistenza individuale e collettiva.
Per la mostra dedicata all’artista, nelle ampie e nitide sale della Galleria Artiaco, sono presentati i dittici dei place works, progetti di installazioni acustiche realizzate per ambienti specifici e considerati da Neuhaus come opere autonome, sintesi delle tracce di lavori altrimenti invisibili. Ai colori primari che, su carta trasparente, circoscrivono angoli e superfici del paesaggio sonoro, si giustappone la descrizione testuale dei siti di riferimento, sorta di narrazione ecfrastica, in una ibridazione di codici immediatamente evocativa.
La scelta espositiva, dunque, privilegia l’aspetto grafico e, per questo, risulta rapsodica, considerando che la materia dell’architettura di Neuhaus è il suono, del quale non rimane molta traccia, se non nell’unica installazione allestita, A Large Small Room, un sistema che mette in comunicazione due sale di diverse dimensioni, facendovi fluire uno scambio di suoni in presa diretta. L’architettura di questi luoghi si sviluppa nella fisica della propagazione delle onde sonore, in continuità con le linee pure della geometria, un’operazione di sottrazione visiva e segnica che crea l’ambiente virtuale, utopia espansa nella dimensione potenziale del fruitore.
La teoria del paesaggio sonoro, formulata dal compositore canadese Raymond Murray Schafer, risale agli anni ’60, un periodo particolarmente fecondo per alcuni studi insoliti, dall’esegesi dello status della follia, di Michel Foucault, agli odori sociali e relativi conflitti di classe, di Alain Corbin. Neuhaus iniziò il suo percorso di percussionista dello spazio sul finire di quella decade, organizzando passeggiate d’ascolto per i quartieri di New York, alla ricerca delle impronte sonore, oscillanti tra latenza e inquinamento, che identificano l’ambiguità incontrollabile del rumore di fondo della città, icona vibrante dell’esperienza della collettività.
Così, il suono non solo è causa efficiente della forma percepita, presenza plastica che modella lo spazio tratteggiandone impressioni e topografia, ma anche narrazione. Storia orale di quei luoghi che l’uomo gremisce di segni da interpretare, dai rintocchi delle campane della Chiesa e del Comune allo stridore dei cantieri stradali, dalle grida apotropaiche della caccia, ipotetico sfondo uditivo dei graffiti paleolitici, al rumore bianco della comunicazione globale, saturazione macroscopica del linguaggio.
Mario Francesco Simeone
mostra visitata il 16 gennaio 2015
Dal 16 gennaio al 27 febbraio 2015
Max Neuhaus
Napoli, Galleria Alfonso Artiaco
Piazzetta Nilo n° 7
80134 Napoli
Orari: dal lunedì al sabato, dalle 10.00 alle 20.00