L’avventura plastico-musicale di Nina Canell (Växjö, 1979) arriva negli spazi espositivi della T293 dopo una prima personale presso la galleria dublinese Mothers Tankstation. Una trasferta per la giovane artista svedese (irlandese d’adozione) che segue di pochi mesi l’uscita di Luftkluster/Luftflux (2006) secondo capitolo del progetto musicale della joint-venture rumorista Canell&Watkins, pubblicato dall’etichetta indipendente Oscillatone.
Una cinquina di opere che riflettono l’insostenibile pesantezza dei dispositivi tecnologici oppure la futilità dell’oggettistica quotidiana. Come nel caso di Howling Holes, scultura lignea assemblata con un set di portasapone neri in imperfetto stile Ikea, ma perfetto esempio di useless design. Una volta sfiduciato il dogma della progettualità dell’arte, alla Cannell non resta altro che rivolgersi al passato per celebrare l’estrema unzione della tecnologia analogica. È un funerale coerente, per
Canell concilia pratica musicale e ricerca plastica rastrellando le sorgenti e i dispositivi sonori sul pavimento della galleria come in una nostalgica fiera tecnologica delle pulci. Ecco allora l’installazione Pangaea, che riproduce il suono gracchiante e monofonico di sette dischi in compensato. Un corredo sonoro riprodotto dall’attrito della testina sulla superficie dei dischi, mentre gli speaker restano muti. La natura, apparentemente esclusa da questa dialettica interna tutta giocata sul versante tecnologico, si riscatta sottoforma di rumori ecologici che rinnegano la seduttività della tecnica e riabilitano la natura artigianale della creazione artistica.
Se Airplant, fotografia site-specific che immortala un groviglio di antenne su un palazzo napoletano, riporta la tecnologia in vantaggio senza convincere lo spettatore, le pigne e i neon dell’installazione iDeath, ispirata a Watermelon Sugar (romanzo distopico di Richard Brautigan) ci restituiscono il piglio efficace e beffardo della giovane artista svedese.
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www.oscillatone.com
giuseppe sedia
mostra visitata il 13 gennaio 2007
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sì, ma alla fine la mostra com'è?
...tutto riflette il disfacimento vivente che vi è tra la forma mistica e tangibile dell'essere... qualcosa di incorporeo...lo spazio il peso...conservano una sorta di fortuita empatia...mi piace molto come scrivi GIUSEPPE CHAIR...adoro scrutare come affiori tra la folla...(anche se ti ho visto poche volte)...:-)