Nel ’68, con un’arte fatta di quotidianità, di vita, i titanici poveristi giungevano a traghettare anime macchiatesi di consumismo verso “viaggi” che consentissero di avere un approccio innocente e genuino col mondo. Quarant’anni più tardi, di quella dialettica capace di corrodere abitudini e conformismi della società contemporanea non rimane che il mezzo, il supporto, svuotato del suo peso ideologico: dall’arte povera si passa miseramente alla povera arte.
Questo passaggio si rende “fisico” e manifesto con le opere di
Luca Pignatelli (Milano, 1962), in mostra al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Intenzionate a discutere l’atteggiamento dell’uomo odierno, a denunciare le conseguenze infauste del suo comportamento egoista e distratto, di fatto si connotano soltanto per un mero polemismo autoreferenziale.
I suoi
Treni non si inerpicano su per colonne ripidissime come quelli di
Kounellis, ma mestamente scivolano su paesaggi anonimi e scarni con “fare” cinematografico, come in un vecchio film dei Lumière. Dai finestrini non si affacciano memorie di antiche cicatrici né i vagoni si aprono su racconti sociali per recare il loro messaggio di sofferenza. Tutto, piuttosto, sembra evaporare e disperdersi con lo sbuffo di biacca che fuoriesce dalla locomotiva in corsa.
Non bastano neppure i teloni ferroviari usurati dal tempo, che tante mani hanno conosciuto, a riscattare la mollezza e il distacco dell’arte di Pignatelli:
il suo è un tragico sempre apparente, il cui livore viene continuamente stemperato da schizzi di colore simili (?) a neve o infiocchettato da decorazioni floreali di dubbia valenza, che lo rendono ben lontano dalla figura di “prometeico officiante” di una cultura morente e di una dimensione perduta.
Anche in
Schermi si legge lo scarto tra nobile intenzione e mancato risultato. Le anfore panciute che vestono l’intero perimetro di una sala, infatti, recano in grembo immagini delle guerre di ieri e di oggi, realizzandosi come continuum temporale che riduce al medesimo comun denominatore la ferocia umana. Eppure non riescono a figurare come angoscianti e claustrofobici vasi di Pandora, esalando invece l’amaro e sgradevole sentore di un lezioso omaggio al museo ospitante.
Un sussulto di creatività sprezzante viene, invece, da una
Madonna di sapore rinascimentale dal viso smaterializzato, reso come se fosse stato celato da un velo. Tra le braccia, una tavola su cui bruciano case e strade sostituisce con indovinato sarcasmo la figura del fanciullo salvatore, realizzando un’immagine forte e originale di un’attualissima Gomorra.
A chiudere la personale, tuttavia, un ultimo scivolone, questa volta mediatico. Un video realizzato da Daniele Pignatelli induce, mediante una telecamera in soggettiva, a correre a perdifiato in un bosco “in guerra” per poi fermarsi a una festa di paese con tanto di asinello e musica folkloristica. Non c’è nulla nella corsa che somigli a un percorso catartico; piuttosto appare come un finale un po’ troppo favolistico. La decadenza si ottunde (ancora!), le riflessioni si fanno lontane e, come suggerito da una vecchia canzone, “
il veleno della vita dorme in pace in un vaso di malora”. Tarallucci e vino.
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trovo esagerata questa stroncatura. e anche con un eccessivo compiacimento retorico. mi pare che ci sia un atteggiamento pregiudiziale.
la mostra era molto bella ed interessante. vale assolutamente la pena vederla.
Ottusamente ricordo d'aver pensato quando ho visitato il sito museale : " un inno alla pace". Scusate la banale intrusione.
Il Pignatelli continua a sfornare centinaia di opere che vengono sistematicamente vendute tra il suo studio e le sue gallerie. Ora una nuova mostra alla galleria Poggiali e Firconi..Poverini..ma a chi venderanno ancora questi? Solo e sempre un grande mercatino dell'affare..e del malcapitato da azzannare. Povera Italia e poveri Musei!!!!
carla ha ragione.
chiaramente su exibart abbiamo letto recensioni piu' positive per mostre moolto ma molto peggiori.
uno dei rarissimi casi in cui non si e' fatta marketta, evento piu' unico che raro