Architettura è strutturazione funzionale ed estetica, ma
soprattutto costruzione di
spazi attivi plasmanti relazioni ed emozioni. È l’indagine sul
potere sotterraneo dei luoghi il sottostante
fil rouge che unifica le diverse modalità
operative di David Maljkovic
e Susanne M. Winterling: cerebrale e cognitiva, ma non
senza punte ironiche, la prima; più emotiva e dalla necessità soggettivamente
espressiva la seconda. Connubio curatoriale riuscito tra due differenti
approcci creativi che, per una volta, al di là di preconcetti banalizzanti, si
scoprono indossare pertinentemente gli aggettivi “maschile” e “femminile”.
Susanne M. Winterling (Rehau, 1970; vive a Berlino)
dipana il suo viaggio intimista nell’immedesimazione con Torquato Tasso, ospite
per alcuni anni di Palazzo Caracciolo d’Avellino, sede della mostra, iniziando
dal parallelo srotolarsi di un
red carpet di cinematografica suggestione, che introduce il
visitatore nella prima sala e scivola poi per le scale al piano inferiore.
Il ricordo del relazionale e sensazionalistico
Insert
art di
Giuseppe
Stampone è
ingombrante dietro l’angolo, ma contraddetto dalla diversa valenza in
Winterling del tappeto rosso, ora “cartina al tornasole” architettonica per
coscientizzare la percezione dello spazio.
Meno incisivo l’impatto dell’ambiente specchiato,
rimanipolazione ottica dei connotati spaziali tramite l’espediente della
riflessione. A disturbare, forse, è l’accavallamento tra il piano
meta-architettonico dell’indagine sul luogo e quello eterogeneamente lirico ed
estetico, da
“visual poetry”, per dirla con l’autrice, degli scatti manifestanti lo
spirito del palazzo, esposti in fila come fotogrammi – altra suggestione
cinematografica – sui monoliti ai lati.
Conseguito è invece il ricercato effetto multisensoriale e
ossessionante del piano inferiore, perturbata e perturbante “camera mentale” di
Tasso: in un buio reso ancor più oscuro dal precedente abbacinamento di
specchi, respiro e udito sono soffocati da vapore e insostenibile fragore di
tempesta, mentre gli occhi si interrogano sulla proiezione-dittico in loop dei
movimenti inconsulti di Winterling/Joker/Tasso e di quelli subitanei dei fuochi
d’artificio, simboli di sregolatezza geniale.
Il nonsense è padrone anche nei video di
David Maljkovic
(Rijeka, 1973;
vive a Zagabria e Berlino): la straniata malinconia e l’inquieta sospensione
abitante il dimesso padiglione italiano a Zagabria s’incarna in allucinati
personaggi, impegnati in un beckettiano teatro dell’assurdo.
A enfatizzare l’alienante senso di distanza, l’artista
frappone tra noi e i filmati il diaframma di strutture-cornici vuote,
trasformate dalla prospettiva in frame
generanti inaspettate geometrie col rettangolo
delle proiezioni.
Architettura e geometria sconfinano dall’opera
nell’ambiente, intrecciando ombre fittizie e reali, anche nei simili riquadri
contornanti le foto del modellino del padiglione, assolutizzazione dei suoi
dettagli più eloquenti. Ornati di palme rinsecchite, come in uno
“stanco
paradiso naturale” o in una fiera
“fittiziamente nuova”. Relitti architettonici e umani, ancora in attesa di
chissà quale Godot.
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Una mostra come poche se ne vedono a Napoli, di sicuro livello internazionale. Buona la recensione.
Credo che la diatriba sul Madre distolga l'attenzione su una realtà come la Fondazione Morra Greco. Un privato che senza nessun aiuto pubblico sta portando avanti un programma di altissimo livello, coinvolgendo artisti e curatori in un dibattito internazionale di grande qualità.
Questa mostra mi ha emozionato, un progetto pulito e lineare, complimenti agli organizzatori, agli artisti, alla struttura.
Sono un appassionato d'arte che non si appassiona al madre ma a queste reltà meno visibili ma di grande spessore.
Bravi!
Caro Triunfo, la mostra sarà anche internazionale e stupenda e tanto di cappello, ma Morra Greco è legato a doppio filo col Madre...
Più che legato a doppio filo credo mantenga rapporti cordiali, come si fa quando si è uno spazio semipubblico, ma la sua è una posizione autonoma, non riceve finanziamenti anche perchè deve essere tenuto a bada, altrimenti, li mortificherebbe troppo.
Di là Orlan di qua David