PA
M | Palazzo delle Arti
Mondo: così dovrebbe soprannominarsi il Pan, cui di certo non
manca la volontà di esplorare aree artistiche lontane dal suo territorio. Con
esiti, talvolta, di forte dissenso in chi lo vorrebbe più attento a realtà
locali. L’era post-Draganovic di Palazzo Roccella sembra alla ricerca di un faticoso
equilibrio proprio tra questa Napoli e questo Mondo, facendo seguire
all’omaggio ultra-partenopeo di
Armando De Stefano la ricognizione delle frange
“impolitiche” dell’America Latina.
Netta virata a Ovest nelle perlustrazioni “esotiche” del
Palazzo, che negli anni si è lasciato ammaliare dalla Taiwan di
Tracce nel
futuro e di
The
Epic in the Everyday e dalla Cina di
La Cina è vicina. L’attuale “istantanea latinoamericana” è piuttosto
caratterizzata da un
mood di fondo disincantato nei riguardi delle problematiche
politico-sociali – più spesso sfociante in disillusione simile a mesta
saudade che in caustica corrosività – ma
ancor maggiormente, in realtà, dall’indirizzo curatoriale di Laura Bardier, che
già dai tempi di
Robots e di
Fastforward: on new media art International Forum sonda la New Media Art.
Terreno affascinante, pregnante per l’orizzonte
antropologico contemporaneo e talora anche scivoloso, per l’insito rischio di
produrre “mirabili marchingegni” di spiccato spessore linguistico ma minore
incisività artistica.
Ma distanti da tale pericolo sono la videoinstallazione di
Miguel Ángel Ríos,
teatralizzazione a misura ambientale di insostenibile intensità emotiva delle
violente dinamiche del potere, e quella di
Jorge Macchi, poetica traduzione digitale dei
flussi di movimento correlati all’iperurbanismo nell’involontario e paradossale
lirismo del nesso suono-immagine.
Meno lontani ne restano gli ingranaggi di
Adriana
Salazar Vélez,
lacrimante “macchina inutile” di picabiana struggente memoria, e
El Gran
Patriarca,
biliardo robotico di
José Antonio Hernández-Diez, che invece in
Hegel,
Hume,
Marx,
Kafka,
Kant e Jung dà miglior prova di sottigliezza
ironica e interpretativa sui meccanismi socio-mediatici, seppur non scevra di
assonanze con
China di
Jota Castro.
Citazionismo consapevole e sapidità estetica sono invece
in
Asado en Mendiolaza di
Marcos López, reinterpretazione dell’
Ultima Cena di
Leonardo da Vinci dalla corposa espressività narrativa,
simile, per la scintillante patina formale e la riproposizione di stilemi del
passato a opera di “attori” contemporanei, alle visioni di
AES+F.
Inedita riflessione sui media tradizionali è anche nel
trompe
l’oeil pittorico
di
Pablo Serra Marino, disinnescante in un sol colpo modelli culturali massificati,
percezione, codici rappresentativi. Se ermetica e cabalistica è la riflessione
di
Detanico & Lain sulle minime unità di senso, i
segni, più immediato è il
coinvolgimento nelle opere interattive di
Rafael Lozano-Hemmer, di cui però si avverte la
sofferenza nell’adattare il proprio magniloquente afflato ambientale, da arte
pubblica, a una dimensione museale e a una vicenda espositiva.
Che, in questa occasione, guadagna forza più dall’insieme
panoramico delle esperienze su contenuti e linguaggi che dai singoli episodi
espressivi.
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Il Pan è lo specchio triste di una città allo sbando, distrutta dai suoi vertici politici.
E tutte politiche sono le nomine al Pan, dai vertici fino alle mansioni più umili. Un esempio? Laura Bardier è la nuora della direttrice Vergiani, prima ci ha lavorato, adesso ne cura le mostre da lontano, mentre chi avrebbe i titoli e le competenze per fare qualcosa di buono è costretto ad emigrare. Volete i nomi?