Guarda, ferma, scatta e
go forward. In mezzo si pone un momento di riflessione, tra chi decide cosa salvare e chi, inconsapevolmente o meno, mette se stesso in direzione dell’obiettivo fotografico. E se il primo protagonista è
Thomas Struth (Geldern, 1954), il gruppo dei secondi -che in realtà è l’elemento essenziale, fonte di ispirazione e creazione- varia dal pubblico dei musei agli scenari cittadini, passando per austere famiglie e paradisi incantati.
Al terzo piano del Madre, con la positiva novità di alcune panche poste nelle sale, si segue un taglio espositivo cronologico per circa sessanta fotografie che segnano gli esordi di Struth, il quale dopo aver frequentato la Kunstakademie di Düsseldorf al seguito dei maestri
Gerhard Richter e
Bernd Becher negli anni ‘70, immortala
Friedrich-Engles Strasse di Leverkusen e altre vie cittadine tedesche. L’aria circola tra i palazzi di
Leipziger Strasse a Essen e anche nella centrale
Via Giuseppe Verdi di Milano, di qualche anno più tardi;
eppure, la percezione generale è quella di trovarsi in un ambiente dalle coordinate spaziali ben definite e dai volumi messi in prospettiva grazie alla sapiente messa a fuoco dei bianchi e dei neri.
Un freddo gioco ritmico che vale anche nel caso delle numerose immagini di una Napoli ripresa nel 1989 all’alba del suo risveglio, dove è ancora assente la presenza umana, solitamente in esubero tra il
Ponte della Sanità e
Via Giovanni Tappia, vociante a piedi o con l’inseparabile protesi meccanica, il motorino, propriamente detto “
o mezz’”. In queste immagini grida forte il silenzio, la mancanza di denuncia e la pura rappresentazione della storia vissuta dalla città. Elementi tangibili in
Vico dei Monti, dove gli strati dei palazzi si susseguono in una prospettiva diagonale a partire dal pavimento della terrazza,
arrangiato grazie a tre campionari diversi di mattonelle.
Il distacco di Struth è più evidente in questo caso se, svoltato il vico, si guarda dalle finestre del museo, ritrovando altri palazzi sbrecciati, mentre un interesse diverso si avverte nei
Ritratti di famiglia e nei
Museums Photografs. Questa è la produzione più nota: gli osservatori che osservano osservati, dentro i musei, davanti a dipinti inflazionati come
La zattera della Medusa di
Géricault; addirittura non c’è bisogno di far entrare nel campo ottico il
David di
Michelangelo per mostrare il senso di meraviglia globalmente suscitato in
Audience 09. Il risultato è quasi una didascalia di noi stessi, nei nostri comportamenti umani che Struth scrive con il suo sguardo da sinistra a destra negli scatti di
Las Meninas di
Velázquez, tra il sorriso entusiasta della guida e la meta-foto scattata da un ragazzo col cellulare.
Infine, un’indulgenza si sente nel respiro delle foglie, grandi e accoglienti, che catapultano nel
Paradise australiano. Una terra incontaminata, dove Struth pare finalmente cedere a un intimo sentimento.
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Ciao a tutti, io l'ho vista è una mostra davvero bella, da non perdere.
è davvero entusiasmante guardare le immagini di Struth dal vivo, immagini osservate sempre e solo dai libri e dai cataloghi... chissà, forse tra cento anni ci sarà qualcuno che immotalerà gli spettatori davanti alle immagini di Struth, quasi come in un corto circuito esilarante!
a parte questo la mostra è molto bella e la scelta del percorso cronologico azzeccatissima per capire lo sviluppo della sua ricerca. anche le didascalie sono molto chiare ed easustive.
però mi aspettavo più immagini. la mostra del madre pare essere una retrospettiva senza quell'indigestione tipica che si avverte normalmente in una classica retrospettiva.
E cmq, W il MADRE! è un bel grande contenitore...