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Fino al 28.VII.2016 | Henri Cartier-Bresson, The Mind’s Eye | PAN, Napoli

di - 26 Luglio 2016
Nel 1932, a Parigi, alla stazione Gare Saint Lazare, un uomo con il cappello salta sulla superficie uniforme di un’ampia pozzanghera, i manifesti del circo Railowsky sono ridotti a umidi brandelli sospesi tra le inferriate alle sue spalle. In qualche altro giorno dello stesso anno, un ciclista pedala con foga, la bicicletta scompare velocemente tra le strette strade di Hyeres. A Parigi, l’uomo completa il movimento ma mette il piede in fallo e scivola rovinosamente slogandosi una caviglia, oppure rimane in equilibrio perfetto su una sola gamba e, proseguendo lo slancio, compie un doppio carpiato mortale, mentre in aria volano le variopinte cartoline pubblicitarie del circo. Del ciclista di Hyeres si sa ancora meno, le possibilità della sua esistenza sono infinite, potrebbe essere un professionista del Tour de France confuso sul percorso di gara, il garzone del forno in ritardo con le consegne del pane, un membro del Comitato d’Attività Antifascista, in formazione proprio in quel periodo. E non è detto che questi tre caratteri non possano essere stati coincidenti. In ogni caso, sono i primi scatti con cui Henri Cartier-Bresson (1908 – 2004) giovane assistente del regista Jean Renoir, mette alla prova la sua Leica ancora lucida di scaffale. Ma la via che lo avrebbe portato a diventare “l’Occhio del secolo” è segnata e i temi che ne orienteranno la visione sono tutti in nuce.
L’antologica al PAN, curata da Simona Perchiazzi e in collaborazione con la Fondation Henri Cartier-Bresson e Magnum Photos, segue di pochi mesi quella di Palazzo Gromo Losa, a Biella, e la collettiva a Palazzo della Ragione, a Milano, in cui il fotografo francese fa la voce grossa. Un ritorno d’attenzione, se mai questa fosse declinata, verso una presenza ingombrante nella storia della fotografia e dell’arte, una personalità che, integrata nella temperie culturale e sociale del tempo, non smette di affascinare generazioni e dividere opinioni.  Dallo strapotere della Magnum, l’agenzia fotografica cooperativa che fondò a New York, nel 1947, insieme a Robert Capa, David Seymour, George Rodger e William Vandiver, fino alla diffusione capillare, a tratti ossessiva, di sue citazioni sulle pagine dei Social Network, Cartier-Bresson è il maestro, il padre, una figura emblematica da amare, odiare e superare, per quanti operano dietro alla macchina fotografica, per chi allena quotidianamente lo sguardo all’immagine. La mostra al PAN presenta una buona selezione di più di cinquanta opere più conosciute e, anche senza una chiara articolazione tematica, fornisce passaggi esaustivi sulla sua lunga e prolifica attività, tutta orientata dall’attesa dell’incidente, dall’eterna ricerca dell’attimo in cui le cose si palesano. Vera o presunta, mitizzata o svalutata, questa pratica della casualità è strumento di un’estetica raffinata e sintomo di un atteggiamento di crisi.

Negli anni ’30, le fotografie avevano ormai sostituito le illustrazioni disegnate, poste sulle pagine dei giornali a corredo degli articoli di cronaca. Il consumo di immagini doveva soddisfare classi sociali sempre più ampie e trasversali, avviandosi verso un’ascesa inarrestabile e rotocalchi come Life, Omnibus, Paris Match, arrivavano a tirature di milioni di copie. Si diffusero l’idea del reportage a luce ambiente e l’estetica dell’istantanea, per restituire al lettore una parvenza di vicinanza all’evento emotivamente vendibile. Dopo le invettive baudelairiane, intorno alla fotografia splendeva finalmente l’aura di un rigore super partes, in grado di sintetizzare le strutture del reale e dell’immaginario, la resa del quotidiano e l’organizzazione delle forme, attraverso un linguaggio specifico ed evocativo che Cartier-Bresson portò al suo apice. Nelle sue immagini, espressione di virtuosismi estetici e tecnici, tra costruzioni sceniche euclidee e sfumate apparizioni visive, si agitano anche i ritmi più sommessi di un’inquietudine esistenziale tutta novecentesca. Qualcosa di molto simile alla parola simbolica di Ernest Hemingway che proprio nel 1932 – mentre Cartier-Bresson comprava la sua prima Leica, insostituibile compagna di viaggio intorno al mondo di ciò che si vede e non si vede – pubblicava Morte nel pomeriggio, un perfetto compendio di superomismo e «disintegrazione in un destino senza via d’uscita», nelle parole di Fernanda Pivano. Negli stessi anni, Henri Bergson riceveva il premio Nobel per le sue idee sulla coscienza soggettiva della memoria e della durata, mentre Erwin Schrödinger rendeva noti i paradossi della fisica quantistica, con il famoso esperimento teorico del gatto vivo e morto nello stesso momento. Così, nelle opere di Cartier-Bresson, un principio di indeterminazione si impone come scala di misura, un piano sul quale tempo e spazio sfuggono verso punti di non convergenza. Le ore, i giorni e gli anni sono trascorsi sui volti e sulle architetture ma è impossibile fissarne in maniera definitiva la traiettoria. Il passato non è mai accaduto se non come una continua deformazione di stati dettata dal caso, per cui non esiste un mondo ma illimitate interferenze di possibilità. Ogni istante si muove in avanti e noi possiamo percepirne solo l’instabilità, Parigi e Hyeres, come fotografate nel 1932 da Cartier-Bresson, sono flussi di coscienza non misurabili, attimi decisivi di un movimento che potrebbe aver dato origine ad altre biforcazioni, diverse interazioni tra individui, simmetrie tra elementi e destini. La questione sulla conclusione dell’evento, se l’uomo sia caduto, se il ciclista sia arrivato al traguardo, è di esclusiva pertinenza dell’osservatore e, in ogni caso, l’esclusione delle ipotesi non è fondante nella descrizione della realtà, perché infiniti mondi possono tanto coincidere quanto scindersi. Soprattutto nella cornice minima e immobile di una fotografia.
Mario Francesco Simeone
Mostra visitata il 28 aprile
Dal 28 aprile al 28 luglio 2016
Henri Cartier-Bresson, The Mind’s Eye
Pan, Palazzo delle Arti di Napoli
Via dei Mille, 60 – Napoli
Orari: lunedì, mercoledì, giovedì, venerdì e sabato, dalle 09.30 alle 19.30. Domenica, dalle 09.30 alle 14.30. Chiuso il martedì.
Info: pan@comune.napoli.it – manidesignnapoli@libero.it

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