È stata pensata ancora e rimaneggiata nei modi più differenti, la città che qui è oggetto dell’ennesimo tentativo di creatività. Una collettiva, in mostra presso la Galleria Alfonso Artiaco, mette mano alla topografia di Napoli, cimentandosi in una ricostruzione errante dei suoi intrichi stradali ed emotivi. La giovane curatrice statunitense, Piper Marshall, dottoranda in Archeologia e Storia dell’Arte alla Columbia University, suggerisce un approccio fluido per questo progetto corale, presentato con un respiro evidentemente internazionale. Il titolo mette in chiaro i termini di questa esposizione, il cui innesco è una lieve, quasi insignificante sovversione dello stato di cose attuale, cioè di quelle che si definiscono, nel parlare comune, le condizioni della città. Questo passaggio dell’immaginazione che dà il via alla mostra è infatti impercettibile, trattandosi dell’idea di una sospensione, di una deriva sopra fluidi e correnti che, di fatto, già le appartiene ed è in effetti la cifra più visibile anche dei suoi abitanti rematori.
Gli artisti in mostra, ciascuno con la propria idea di città, più o meno ardita, più o meno intransigente, sono stati collocati, non a caso, in un punto d’eccezione, vale a dire nella porzione di Italia in cui, forse più che in ogni altro luogo, è difficile risalire alla polis propriamente detta, cioè alla sua struttura canonica, alle sue misure, alle sue geometrie e soprattutto al suo raziocinio, quella necessaria lucidità che tiene insieme le comunità e costruisce gli edifici. La parte edificante, appunto, in tutti i modi in cui si vuol considerare tale parola. Fia Backström, Lucy Dodd, Rochelle Goldberg, Bethan Huws, Aislinn McNamara, Karin Schneider, Silke Otto-Knapp, Studio for Propositional Cinema sono gli otto artisti proposti da Alfonso Artiaco per un ambizioso tentativo di “ripensare l’arte contemporanea” sul modello topografico italiano e in particolare di Napoli. Ma la soluzione adottata è di una semplicità disarmante, poiché la stimolante e continua stratificazione non soltanto urbana della città, è consegnata a una immagine lieve, come si diceva, seppur di sicuro impatto sul visitatore, quella della fluidità con tutto il suo portato concettuale, che ha raggiunto l’apice e lo stremo dopo Zygmunt Bauman.
Fia Backström, Lucy Dodd, Rochelle Goldberg, Bethan Huws, Aislinn McNamara, Karin Schneider, Silke Otto-Knapp, Studio for Propositional Cinema, A boat is a floating piece of space, toward the Horizon, Giugno 2017, Galleria Alfonso Artiaco, Napoli. Foto: Luciano Romano
L’installazione in acciaio di Rochelle Goldberg ricorda un relitto, la prua di una nave che sia emersa infine, dopo il ritirarsi delle acque. Gioca quindi sul dominio del mare e sul dare-avere del moto ondoso, questa esposizione che sfugge però al sotterraneo, alla percezione olfattiva e visiva che danno invece i vicoli asfittici, le abitazioni chiuse come tane, fino al punto estremo dell’interno, fino alla catacomba e al sottosuolo. Alla città che sta sotto la città. Lucy Dodd, altra artista della luce, si muove nella medesima direzione luminosa, realizzando opere esplosive, roboanti come cascate. E così pure gli altri nomi che espongono qui la sensazione più ovvia che l’acqua concede, quella della potenza emersiva, come ciò che sgorga e trascina. Ma dato il titolo, l’intuizione più giusta era arrivata e si è forse persa dopo, nelle puntualizzazioni che l’arte compie quando ragiona su di sé: dunque era proprio nell’immagine di una porzione di terra che si stacchi dalla propria penisola di origine, a dare il senso più accorato e puntuale della città.
Ci sarebbe una breccia, come una fenditura che nell’urbanistica si evince a tal punto da essere proverbiale e che, dall’alto, definisce le due parti di una città che non si stacca da quel tutto che la origina ma, di contro, si moltiplica, si gonfia, protendendo come un animale verso la costa. È, in parte, quella zattera di pietra raccontata da Saramago che tutto d’un tratto, nella storia, comincia a muoversi: «Fino a dove, ecco il punto cruciale. Il primo provvedimento oggettivo doveva essere quello di sondare la ferita, verificarne la profondità».
Dunque è questa forse la parte mancante in una mostra che aveva intuito la strada, la spaccatura, una breccia che tuttavia non ha imboccato, evitando di sondarne la lunghezza e impedendone i possibili sviluppi, la completa deriva. «…e la massa di pietra e terra, coperta di città, villaggi, fiumi, boschi, fabbriche, macchie incolte, campi coltivati, con la sua gente e i suoi animali, cominciò a muoversi, come una barca che si allontana dal porto e punta al mare di nuovo ignoto».
Elvira Buonocore
mostra visitata il 13 giugno
Dall’8 giugno al 28 luglio 2017
Fia Backström, Lucy Dodd, Rochelle Goldberg, Bethan Huws, Aislinn McNamara, Karin Schneider, Silke Otto-Knapp, Studio for Propositional Cinema, A boat is a floating piece of space, toward the Horizon
Galleria Alfonso Artiaco
Piazzetta Nilo, 7 – 80134, Napoli
Orari: dal martedì al sabato, dalle 10 alle 20
Info: info@alfonsoartiaco.com