Nel corso del sul fantomatico viaggio, Andy Warhol arriva a Salerno. Ed è qui oggi che, oltre a ridisegnare il personaggio Warhol, si descrive l’ormai “leggendario” mondo a lui circostante.
La mostra è suddivisa in tre sezioni. La prima, dedicata alla pittura e curata da Angelo Trimarco e Maria Grazia Panepinto, comprende opere provenienti da collezioni private italiane: i famosi “Vesuvius” (1985), i “Flower”, gli animali, alcuni marchi pubblicitari, fra cui la “Campbell’s Soup”, nonché numerosi ritratti, fra cui quelli di Man Ray, Mao, Guglielmo Achille Cavallini, Ernesto Esposito, Enrico Coveri e soprattutto quello di Joseph Beuys, che Warhol realizzò dopo l’incontro con l’artista tedesco presso la galleria Lucio Amelio a Napoli. I quadri presenti in mostra prevedono un unico filo conduttore che è la tecnica serigrafica, spesso arricchita da smalti, pittura acrilica, cotone, cartone, fino alla polvere di diamante e di polimero serigrafato su tela, un innesto straordinario che l’artista utilizza per realizzare le sue ombre… l’opera dal titolo Shadow è costituita da appena due colori che si distribuiscono su una piccola superficie, ma si manifestano in maniera assolutamente brillante.
Una seconda sezione riguarda la fotografia. Qui l’aspetto artistico si mescola con quello documentario ed è straordinario il risultato: Warhol diventa divo e al contempo turista accompagnato da un capo all’altro del nostro paese mentre legge L’Espresso o Il Corriere della Sera, oppure mentre dorme, si fa la barba, presenta le sue mostre. Le foto di Dino Pedriali della serie “Anticamera con Warhol”, sono entrate a far parte della documentazione consueta non solo dell’artista Warhol, ma soprattutto dell’uomo. Con le foto di Christopher Makos, invece, l’artista diventa soggetto di rappresentazione e cambia i suoi connotati. Si traveste e assume un aspetto sarcastico e diabolico.
La terza sezione della mostra è quella dedicata alla Factory, l’azienda di produzione che Warhol fondò a New York. Il curatore della sezione, Mario Zonta, nel catalogo della mostra osserva: “La Factory è stata un punto di incontro e di confronto unico. La ‘multimedialità’ iniziò sicuramente da lì e da lì partirono molte idee”. In mostra una serie di diciassette fra film e video, che proprio dalla Factory furono prodotti. È da qui emerge lo straordinario rapporto che Andy ebbe con alcuni personaggi dello spettacolo, al tempo sconosciuti ed oggi notissimi. Ne è un esempio Lou Reed, che ancora giovanissimo bazzicava per la Factory e dava corpo al fenomeno Velvet Underground, un fenomeno che lo stesso Andy Warhol contribuì a creare, testimoniandone la produzione con il film “The Velvet Underground & Nico” realizzato nel 1965.
Sempre di Warhol non potevano mancare i film più noti, “Blow Job” e “The Chelsea Girl”. Altro personaggio fedelmente legato alla Factory fu, invece, Paul Morrisey, del quale sono stati proiettati otto film, da lui stesso presentati a Salerno nel corso della prima proiezione.
La mostra è completa, ma presenta dei difetti. E’ un peccato notare, ad esempio, un allestimento riciclato, in cui i segni evidenti delle mostre passate non rendono onore ad un artista ormai classico, ma che non stanca mai.
tiziana di caro
mostra vista il 29 novembre 2003
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