Un chiodo trafigge Napoli. Meglio,
punta sul capoluogo campano. E proprio quella di puntare su Napoli fu la scelta del duo, affettivo e artistico,
Bianco-Valente (Giovanna Bianco, Latronico, 1962; Pino Valente, Napoli, 1967. Vivono a Napoli), in un momento in cui molti colleghi si trasferivano al Nord alla ricerca di maggiore visibilità. Correva l’anno 1995, la coppia era praticamente agli esordi. Ma la decisione di restare si è rivelata fortunata e oggi, a tredici anni di distanza, Bianco-Valente espone quella cartina ripiegata in cui sembra essersi condensato il lavoro di anni. Adesso, perché la consapevolezza della scelta ha preso piede col tempo, accrescendosi grazie ai numerosi viaggi in giro per il mondo.
Ed è proprio questo legame tra mappatura reale e simbolica che funge da filo rosso all’interno dell’esposizione, portando all’exploit di
The Effort to Recompose my Complexity. Lo sforzo del titolo è quello di guardarsi come unità, non per frammenti. Tentativo che comporta uno
streben filosofico e mentale, uno sguardo fenomenico e ideale al tempo stesso. Pareti e soffitto sono ricoperti da disegni digitali, trame intricate ottenute modificando immagini arboree e venose. Piccoli intrecci intessono relazioni con altri frammenti vicini e lontani, e così l’intero spazio diviene un insieme di linee tracciate a carboncino, salti figurati e figurativi da un’entità all’altra. Una rete fatta di “
sprazzi di se stesso”, come dice Pino, una tela di anima e carne.
La sensazione è quella di trovarsi al centro di un intreccio inestricabile di eventi, pensieri, storie. Ogni particella è legata a un’altra, ha bisogno di questa per completarsi eppure respira da sola, è -nella sua singolare trama- un’entità indipendente. Lo spettatore è inevitabilmente coinvolto; le sue percezioni divengono parte integrante dell’opera, lo stimolo visivo si traduce in impulso intellettuale.
A ricostruire il legame con la geografia ci pensa la somiglianza fra gli intrecci primari e le piante topografiche, pur trattandosi di città inventate, esistenti solo sulla carta. I paesaggi mentali divengono invece “fisici” nei viaggi del progetto
RSM, spostamenti in giro per il mondo la cui meta è dettata da precisi calcoli astronomici, nel tentativo di sperimentare in prima persona un’antica teoria legata agli influssi astrali e ricodificata negli anni ’70 da Ciro Discepolo. Un percorso che porta il duo ad osservare gli astri in congiunture fortunate in occasione dei propri compleanni astronomici. Sguardo al cielo che equivale a uno sguardo interiore, alla ricerca della “propria” materia prima, fatta di spirito e corpo.
Il dualismo cartesiano aspira a ricomporsi, a ritrovare la sua ghiandola pineale. Ma il lucido razionalismo si apre anche a nuove strade, a nuovi universi. Declinando verso un’intonazione delicatamente poetica.