Americana di origine ungherese, Kika Karadi (Budapest 1975) propone la sua prima personale europea a Napoli. Già presente in Italia lo scorso anno con il progetto Poles Apart Poles Together, curato da Juan Puntes, della galleria White Box di New York durante la 51° edizione della Biennale di Venezia, e a Praga per la seconda edizione della Prague Biennale, l’artista sembra avere un buon feeling con il suo continente di origine.
Kika Karadi ha assorbito l’influenza dell’astrattatismo americano e la interpreta in chiave espressionista, con un’attenzione particolare alle esperienze mitteleuropee. Gli oli su tela, per lo più di medio e grande formato, sono complesse composizioni astratte all’interno delle quali convivono prospettive e piani diversi, forme geometriche compatte, segni, simboli, materici impasti di tinte scure e rapidi tocchi di colore puro.
L’artista gioca con le regole della percezione ottica sovrapponendo vari strati di pittura di colori, spessori e intensità drammaticamente variabili. Le forme costruiscono lo spazio in modo caledeoscopico per poi modificarlo drasticamente appena l’occhio cambia punto di riferimento e lo spettatore sceglie di focalizzare lo sguardo sullo strato successivo di materia. Le combinazioni visive possibili all’interno delle tele sembrano infinite. Gli astratti paesaggi assumono, in un primo momento, un’allure onirica-simbolista, poi diventano piuttosto descrittivi, quasi narrativi; infine spariscono riassorbiti all’interno di monolitiche geometrie e sinuose forme senza peso. Si torna in superficie.
Le costanti mutazioni dei lavori di Kika Karadi sono frutto delle composizioni frastagliate ma anche del particolare utilizzo del bianco. Nonostante il tentativo dell’artista di soffocare la luce attraverso la scelta di colori scuri stratificati ripetutamente, il bianco fuoriesce comunque da punti luce multipli di intensità diverse.
La luce proviene infatti discretamente da fonti inaspettate, appare gradualmente e crea ulteriore movimento all’interno dei già complessi paesaggi. Il risultato sembra essere un chiaroscuro “sbagliato”, un’interpretazione distorta della luce caravaggesca, che scolpisce le già ben definite forme geometriche, mentre si lascia sfuggire una soffusa illuminazione, filtrata dagli strati superficiali meno compatti dell’opera.
lavinia filippi
mostra visitata il 31 maggio 2006
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