I lavori di Pradreau, Yamada e Thompson concorrono tutti a quella strana sensazione che si avverte percorrendo la mostra: un’ebbrezza, una felice consapevolezza della forza che ha il nostro pensiero nella percezione e nella conoscenza.
Fredric Pradreau dà il benvenuto con “Milles besaux”: l’opera si ispira ad un’affermazione tipica della lingua francese che si utilizza per salutare affettuosamente una persona cara. L’artista realizza i suoi mille baci stampando sulla parete una costellazione di marchi di rossetto. La matrice, però, è evidente, non sono le labbra, ma un molto meno poetico, wurstel. Cos’altro avrebbe restituito così viva la sensazione della pelle e delle sue grinze?
Più in là c’è un piccolo tappeto grigio: la materia anche qui non è prezioso tessuto, ma piuttosto polvere pressata. Anche qui tra l’oggetto e il suo significato l’artista pone la materia; una materia spesso straniante, impropria, insolita che ne mette in discussione ora la funzione, ora la forma o la struttura
Accanto è disposta anche una semplicissima bottiglia di vetro che contiene un liquido trasparente. Fin qui tutto normale. Ma poi si saprà che l’alcool che contiene è ottenuto dalla distillazione di Coca Cola.
Niente appare evidente, si potrebbe anche finire per non saperlo mai; quanti saranno usciti dalla mostra senza conoscere alcuni piccoli eppure significanti particolari? Un wurstel, la polvere, la Coca Cola. E’ come se il significato non volesse apparire direttamente, ma volesse essere cercato altrove, domandato a terzi. Così, seppure nel lavoro di Pradeau è difficile prescindere dall’evidenza affascinante della forma, il centro, il fulcro sta nel meccanismo di curiosità che l’artista innesca intorno al modo in cui ha realizzato l’opera, sugli strumenti e il tempo che utilizza.
Se Pradeau mette l’accento sull’aspetto del fare, James Yamada studia lo sguardo. I suoi lavori si basano su una paziente osservazione. Nelle fotografie sembra aver
Per Cheyney Thompson, come Yamada e Pradeau, il significato dell’opera risiede nel procedimento con cui la si realizza. Così l’artista dipinge l’oggetto applicando le leggi della visione prospettica: in alto, i festoni sono dipinti come se li vedessimo dal basso, al centro, come se essi si trovassero all’altezza dei nostri occhi e, in basso, come se li vedessimo dall’alto. La sua pittura è così delicata, l’immagine così piacevole che se ne rimane immediatamente affascinati eppure la sensazione globale non è altrettanto gradevole. Quella prospettiva in realtà inchioda l’osservatore costringendo lo sguardo ad essere punto di vista. Qualcosa di immobile, pre-disposto, di assolutamente necessario alla forma del reale.
valeria cino
mostra vista il 5 novembre 2003
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Tutto ciò che hanno fatto Raucci e Santamaria in questi anni avrà avuto un senso per loro (forse anche economico), ma per la città in cui vivono non è servito a niente.
Vai lì e ti ritrovi sempre le solite mostre: fredde, pulite, sterili.
Merda confezionata ad arte.
Buona mostra: Ottimo Yamada, buono Pradreau, da rivedere Thompson che sembra il più fragile del trio. Chissà se anche questi artiti molleranno i 2 galleristi napoletani non appena capiranno di che pasta sono fatti ?