L’anno appena concluso ha celebrato il bicentenario di Giacinto Gigante (Napoli, 1806-1876). Per l’occasione la Soprintendenza per il Polo Museale Napoletano –insieme all’affiatato team di Regione, Provincia e Comune- gli dedica una duplice rassegna: disegni (al Museo di Capodimonte) e circa centocinquanta dipinti ripescati da collezioni pubbliche campane e allestiti nei locali sotterranei del Museo Pignatelli.
Gigante è stato in testa al quel folto gruppo di “posillipisti” che nella Napoli della prima metà dell’Ottocento segnarono il passaggio dalla veduta documentaria, prospettico-topografica, ad un’interpretazione più romantica ed emozionale del paesaggio: l’ecologia mediterranea (in mostra Sorrento, Amalfi, Il Giardino Inglese a Caserta, Villa a Quisisana) e gli scorci urbani (che diventavano cronaca quando vi trascriveva date e note della Napoli di due secoli fa). Ma anche i ritratti e gli interni delle chiese napoletane (Duomo, Chiesa di San Giovanni a Carbonara, Ritratto del barbiere di corte, Domenico Morelli) sono dipinti con una pennellata vivace, fluida, che pone in secondo piano -senza abbandonarlo del tutto- il problema di contorni, della veduta prospettica, dell’equilibrio chiaroscurale rendendo protagonista la diversa reazione alla luce di ciò che è corposo e opaco (stoffe, isole, promontori) o mutevole e lucente (acqua, atmosfera).
Un pittura di paesaggio che tenta di svincolarsi dalle convenzioni, dunque, agevolata- paradossalmente- dall’essere considerata un genere minore. Questo fattore consentiva una maggiore libertà rispetto agli altri generi, certo, ma sull’impegno di Gigante nell’aggiornamento europeo della cultura artistica italiana occorre fare una riflessione, specie sulla definizione il Turner napoletano più volte citata nel materiale informativo sulla mostra.
Un semplice confronto tra le opere dei due autori, pertanto, può risultare illuminante: quando nel 1852 Gigante esegue Il Parco di Caserta oppure, nel 1855, Napoli dalla Conocchia, Turner aveva dipinto (già da un po’) Pioggia, vapore e velocità. E non guardava alla prospettiva, al disegno, all’armonia chiaroscurale, ma al paesaggio, con l’ansia di coglierne l’atmosfera e la luce esprimendola in un’esplosione informale di colori. Certamente, l’ampia produzione di Gigante resta un’occasione per ammirare la sua grande padronanza tecnica e coloristica, la ricerca di quei chiarori soleggiati e flagranti (colti felicemente in Tramonto a Caserta) che i locali e, soprattutto, i pannelli espositivi troppo scuri di Villa Pignatelli tuttavia non lasciano esprimere appieno.
marianna agliottone
mostra visitata il 16 dicembre 2006
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