Sorprende con discrezione la nuova finestra del Pan sull’arte dell’Est, dopo
Tracce nel futuro e
La Cina è vicina. Il merito è nell’accorta selezione del panorama mostrato, significativo del background estetico orientale, ma atto a parlare alla dimensione internazionale. Nettamente caratterizzate nella loro identità, ma aperte a un’immedesimazione senza confini, in virtù di un’intrinseca profondità spirituale che le rende universalmente ammalianti, le opere costruiscono una mostra dal respiro realmente cosmopolita e intelligentemente non globalizzato.
Sospensione, atmosfera fiabesca ma scevra d’ingenuità, poesia del quotidiano, costante esigenza di ricomporre il gap natura-tecnologia: i filmati dichiarano tutti, esplicitamente, i nessi con la cultura asiatica, ma nella loro riconoscibile sensibilità arrivano a problematiche linguistiche e antropologiche di sentita attualità.
A giudicare dalle opere in rassegna, si delinea una “via orientale” alla videoarte: se per gli occidentali l’uso del mezzo filmico sembra rispondere all’esigenza di “dinamizzare” staticità e bidimensionalità della tradizionale immagine di pittorica memoria, per gli orientali il video appare strumento per diluire, moltiplicare e prolungare nel tempo un’inveterata attitudine contemplativa dello sguardo.
Il lento ritmo del montaggio, il sonoro discreto o quasi inesistente che focalizza fortemente la percezione sulla visione, la staticità d’immagini e azione, appena compromessa da pochi elementi mutevoli, assimilano le opere a seducenti “quadri” in movimento nell’acronico tempo della meditazione.
Proprio una lentissima carrellata orizzontale, quasi una pergamena srotolata, anima in
Chou Yu-Cheng le icone della modernità pubblicitaria e glamour. La riflessione sociologica sull’ossessione orientale per i modelli occidentali si scioglie in una
facies patinata e onirica che riassorbe l’esterofilia in atmosfere e musiche d’inconfondibile tradizione asiatica. Con in più l’ironia, anche
Tsui Kuang-Yu riflette sulla fascinazione per l’Ovest e sul turismo globalizzato, con espedienti metalinguistici nell’inquadratura di marcato segno ludico.
Sulla tradizione patria, ma con analoga leggerezza sorridente, ironizza
Peng Hung-Chih. Lirismo e nostalgia per un’originaria armonia uomo-ambiente rendono struggente il pittoricismo di
Wang Ya-Hui o
Li Chieh-Hua, che come
Kuo I-Chen e
Rain di
Wu Chi-Tsung affida in pieno il messaggio all’impercettibile scarto linguistico fra la staticità di un’immagine di base e le sue infinitesimali variazioni indotte da azioni minimali.
È quest’ultimo a firmare con
Perspective l’opera migliore, magistrale riflessione sui codici dell’arte, della visione naturale e della condizione antropologica contemporanea: geniale disinnescamento dell’antropocentrica, ordinata e “analogica” prospettiva rinascimentale, non più adatta a un liquido mondo “digitale” pluricentrico ed esploso. In cui non è più dato rintracciare punti di riferimento che svelino la mappa di dove ci troviamo.