Perez aveva un rapporto conflittuale con la sua città. Di carattere ritroso, timido, era difficile ‘stanarlo’. Prima che morisse, all’età di 71 anni, la città di Napoli aveva già deciso di omaggiarlo con una grande mostra a Castel dell’Ovo, occasione in cui, probabilmente, egli sarebbe uscito dal suo ‘rifugio’ di Palazzo dello Spagnolo per incontrare le autorità, oltre ai suoi numerosi estimatori. Perez non si era mai sentito completamente accettato nella sua città, nonostante la mostra antologica che Palazzo Reale gli aveva dedicato nel 1992. Afflitto da un grave male, le uniche persone che l’artista vedeva da alcuni anni erano il figlio, la moglie e pochi amici. Fin dal suo esordio, nel secondo dopoguerra, Perez assunse delle posizioni autonome e originali, lontano dai movimenti maggiori, chiuso nel suo background fatto di malinconiche visioni immerse nel passato, seppur completamente reinventato e indipendenti da ogni tipo di accademismo. Le sue sculture entrano in pieno merito nel ciclo del realismo degli anni ’50, sulla scia di Giacomo Manzù e Medardo Rosso. Il segno inconfondibile di Perez sta nello sfaldamento concettuale e grafico dei contorni, come in una sorta di ‘erosione’, in cui la materia si riduce a forme simili a zolle di terra, grumi che alludono a uomini, gambe, mani, gomiti. L’artista lavora sul concetto del non finito, dando vita ad un universo malinconico, in cui l’arte da narrativa diventa pura azione, in uno scomporsi e ricomposi della materia.
La sua arte subisce continue metamorfosi durante il percorso creativo, trovando la sua piena espressione e il suo culmine nel ‘Narciso’, in cui pezzi della realtà vengono uniti ai materiali plastici. L’idea di Perez è soprattutto quella di rinnovare dal profondo la scultura, trasformandola, da monumento commemorativo, consunto e obsoleto, a opera viva, calata nel reale e nelle sue suggestioni, pulsante e brillante di luce propria. La sua arte può essere collocata in quel luogo misterioso tra il visibile e l’invisibile, tra il tangibile e l’intangibile, essere non essere. Come le trasformazioni dell’aria, della materia, di tutto ciò che ci circonda. Rimane uno dei più grandi scultori italiani del ‘900, uno dei pochi che ha continuato egregiamente la ricerca, facendo diventare la scultura cosa viva, nelle sue infinite sperimentazioni e innovazioni.
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