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fino al 30.I.2003 | Through – Melita Rotondo | Napoli, Fondazione Morra

di - 21 Gennaio 2003

Come nelle leggende che narrano di una ricerca interiore, il viaggio comincia con un rituale di purificazione: una piccola scala di alluminio, due gradini ad indicare il percorso in salita che è la vita e una bacinella d’acqua. La rotta percorsa è un andare a ritroso, un po’ come succede nella memoria in cui il ricordo giunge all’inizio solo attraversando la fine. Dalla morte alla nascita, dunque, passando attraverso la storia di ognuno di noi, gli oggetti, i frammenti che lasciamo al tempo. E’ dura iniziare proprio dalla morte, accettare di separarsi così improvvisamente dalla vita. Ma lì, nella prima stanza, è lei stessa ad indicarci la strada: Melita Rotondo vi lascia infatti il suo autoritratto. Si percepisce la sua presenza, però, durante tutto il percorso, rispettosa di una scelta che, lei sa, implica consapevolezza. 
Un viaggio che comincia con un video: qualcuno steso su una barella, (noi stessi probabilmente!), viene trascinato inerme attraverso i corridoi di un ospedale e giunge all’obitorio: tavolo freddo, spazio vuoto, grigio e poi piccoli feti, vite incompiute che un destino maldestro conserva per sempre.
L’artista dispone una tappa tra la morte e la vita: il ricordo. Costruisce così due sale, una dedicata alla donna e l’altra all’uomo dove dispone delle immagini rappresentative che, come monumenti alla vita, raccolgono i frammenti lasciati per strada: gli affetti (i due cani Sol e Solitarie), le idee politiche, la maturità di una donna che vive il suo impegno così profondamente da accogliere l’ironia nelle proprie certezze (Rose Bon Bon presidente), ma anche il modo di sentire l’altro sesso. Qualcuno che spesso non ha il tempo, dicono le teche vuote disposte alle pareti; un universo di non facile definizione quello maschile, che sfugge, come l’immagine nel video che scorre e non concede tempo alla memoria. Così in questa stanza il tavolo, mentre per lei accoglie frammenti e materia di vita (peli, piume e piccoli oggetti), in lui si smonta e giace a terra. Melita non ha paura di raccontarsi e, proprio in questa autenticità, sta il valore collettivo di un’esperienza creativa così intima e personale. La “sua” nascita ci accoglie nell’ultima stanza: un fazzoletto di terra su cui disegna il proprio mondo, sistemando le parti come in un giardino Zen. Vi abitano elementi primari, semi o petali, e forme significative della nascita, un uovo, dei nidi; il maschile e il femminile insieme e al centro una piccola camicetta di bambino, preparazione alla nascita, simbolo di un nuovo inizio. Parlottano, nel frattempo due donne, sedute al margine del tappeto; su piccole sedie filano gomitoli di lana, lasciano scorrere una storia e si raccontano.
E’ un invito certamente quello che l’artista ci rivolge: “ad ognuno la propria nascita ”-dice- ma che sia consapevole, che nasca dal confronto.
Il lavoro di Melita Rotondo è fatto di tante parti e in Through l’arte e la vita coincidono, diventando l’una lo strumento di verifica e di indagine dell’altra. Ci riguarda profondamente, durante e attraverso tutta la nostra vita, dunque …. All through our life! Per questo forse il suo lavoro ci lascia tanto turbati.

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valeria cino


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