Il giorno dell’inaugurazione Albert Oehlen osservava i visitatori della sua mostra silenzioso e in disparte, come se non stessero ammirando i suoi lavori. Forse per timidezza, forse per la differenza linguistica, anche alle domande che gli erano rivolte rispondeva con brevi parole: precise, puntuali, ma pur sempre brevi. Non si poteva far a meno di costatare un contrasto così netto tra il suo carattere mite ed introverso e la violenza visiva dei suoi quadri.
Le opere in mostra sono dipinti realizzati tradizionalmente con olio su tela, tuttavia le energiche azioni esercitate col colore sulla superficie — pennellate, macchie, spruzzi, segni, colpi, dripping — rendono questi lavori il frutto di una realtà metropolitana violenta e alienante, in cui dietro la maschera di ogni uomo perbene si nasconde uno spirito insofferente alla massa. I lavori di Albert Oehlen, infatti, celano una profonda riflessione sull’Action painting, sulla pittura CO.BR.A e sul graffitismo americano; tutti fenomeni questi che, nati nelle realtà metropolitane americane o europee, si sono imposti alla società occidentale come metodi attraverso i quali era possibile manifestare, con la violenza dei gesti e l’applicazione caotica o esplosiva dei colori, la propria avversità nei confronti dell’omologazione urbana.
La rappresentazione informale si ripresenta con nuovo vigore nei lavori d’arte contemporanea. Tuttavia, dopo essere stato catturato dalla moda, dopo aver rivoluzionato l’arredamento e la tradizione dei fumetti di tutto il mondo, dopo che lo scarabocchio, la macchia, il segno e lo strappo sono diventati simboli molto diffusi e comprensibili d’espressione, l’informale può ancora apparire come un fenomeno di resistenza esistenziale?
Chi scrive confessa di non saper rispondere a questa domanda. Ci si limiterà a costatare in che modo questa riapparizione dell’informale gestuale ha portato con sé l’inevitabile testimonianza di tutto il cammino percorso attraverso le forme diffuse di rappresentazione visiva.
Marco Izzolino
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