“
It’s a long history”. La voce digitalizzata del “cannibale” Abdullay
Kadal Traore risuona nella stanza al piano terra della galleria di via dei
Tribunali, fungendo da amara premessa per il nuovo progetto di
Patrizio Di
Massimo (Jesi,
Ancona, 1983; vive a Milano e Londra).
È una lunga storia, quella del rapporto malato tra Nord e
Sud del mondo; è una lunga storia la ricerca artistica del marchigiano che,
abbandonati gli ormai troppo consunti cliché sulla dominanza della razza,
sceglie di riscriverne i risvolti, spolverando un capitolo scottante e
insidioso della storia italiana come quello del colonialismo.
Già il 2009 aveva visto l’artista jesino impegnato in un
viaggio in Libia, a ripercorrere idealmente il sogno imperialista dell’Italia
d’inizio Novecento; un anno dopo raggiunge l’Etiopia, sempre mosso
dall’impressione che “
nell’arte italiana mancasse un punto di vista della
nostra storia coloniale”.
Il fine del
Dialogo tra Cannibali viene svelato, qualche rampa di
scale più in là, da una doppia videoinstallazione in cui la differenza si fa
corpo e la dominazione diventa sessualizzazione dell’altro. Ma non si tratta di
un’acritica operazione formale:
Faccetta Nera e
Faccetta Bianca sono i titoli scelti per i video
perché canzoni di regime, composte alla vigilia del sogno imperialista, allo
scopo di giustificare un gesto macchiato di irrazionale xenofobia, tacciandolo
per atto di liberazione.
L’idea di un processo di
civilizzazione condotto da un Nord maschio a spese di un Sud femminilizzato
ritorna anche nei disegni dal tratto energico ma asciutto, essenziale, modulati
su uno studio accorto e ravvicinato con molta iconografia coloniale, e in cui
non è difficile scorgere riferimenti più vicini alla tradizione artistica
occidentale (negli studi sulle geometrie di artisti come
de Chirico e
Picasso). Nonostante datino 2009, gli
inchiostri risultano perfettamente coerenti con il progetto di più recente
elaborazione, completandolo.
Filologo e musicologo dell’arte, Patrizio Di Massimo fa
della stratificazione dei linguaggi artistici lo strumento mediante il quale
riconciliarsi con la storia e, nella storia, riconoscere la sua identità
d’artista. Dalle guerre coloniali alle trincee metropolitane il passo è breve
e, ancora una volta, il tentativo di rintracciare, in una inventariazione del
passato, le premesse della storia presente viene declinato dalla sinergia tra
musica e arte. Con un ultimo titolo – quello che poi abbraccia il progetto
espositivo nella sua interezza – il marchigiano scongiura la possibilità che il
riferimento al passato si riveli infruttuosa filologia.
Dal “
sole d’or” alle centrali nucleari destinate a zone sismiche, dai “
ruscelletti
impertinenti”
alle discariche di nuova apertura per insabbiare la piaga dei rifiuti, l’Italia
dei terroni e polentoni arranca alle spalle di un’Europa cosmopolita e
risolutrice. Cosa rimarrà, allora, del Belpaese cantato da Villani? Sereno
variabile.
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Una brutta mostra alla T293. Uno esce dalla galleria e dice, ma il lavoro dov'è ? un pò di "dietrologia" (è proprio il caso di dirlo) politically correct, e quattro disegnini degni di un studentello di una accademia di provincia.
Ma la vera domanda a questo punto è come ha fatto Patrizio Di Massimo a meritarsi una presenza alla prossima art unlimited a Basilea, se quando è stato accettato nel suo curriculum, non aveva neanche questa personale ? Che si apra la sezione più imporatante di art basel a giovani, Ok va benissimo, ma almeno a giovani che abbiano dimostrato qualcosa e che abbiamo un minimo di curriculum alle spalle. Per esempio l'anno scorso ad art unlimited c'era Andro Wekua bravissimo artista ed altrettanto giovane, ma alle spalle aveva tre personali da Peter Kilchmann, due personali da Barbara Gladstone e diverse mostre personali in musei, ma Di Massimo che "kaxxo" ha fatto per stare là ? Se il suo livello abituale è quello della mostra alla T293, è davvero inspiegabile.