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La galleria Raucci e Santamaria presenta una collettiva che ha per tema l’obsolescenza programmata, un concetto che il filosofo ed economista Serge Latouche definisce come «l’arma totale del consumismo», un’arma di distruzione di massa che punta, consapevolmente, verso l’oblio e il disfacimento. La strategia economica secondo cui è necessario produrre oggetti che abbiano una durata predefinita, favorisce una continua sostituzione e, quindi, un ingente movimento finanziario. Ma costituisce anche il diktat che guida l’andamento etico e morale della società contemporanea, di cui il tempo ne è la categoria fondamentale. In Consumo dunque sono, il sociologo Zigmunt Bauman, infatti, teorizza il fenomeno della puntinizzazione del tempo, evidenziando come questo sia percepito e vissuto in singole porzioni, «Si vive praticamente in un insieme di brevi istanti quasi staccati tra di loro, come fossero appunto tanti piccoli o piccolissimi presenti». La precarietà viene venduta come opportunità, dando luogo a fenomeni paralleli a quello dell’obsolescenza programmata, come quello dell’obsolescenza percepita, resa possibile dall’incessante pubblicità e dalle allettanti offerte del mercato, che il consumatore accoglie per prevenire una possibile mancanza.
A tal proposito, il lavoro di Danilo Correale mette in evidenza la politica della mercificazione e del controllo sulla massa, estetizzando l’effetto delle nuove strategie del business che, grazie a un algoritmo, è capace di manipolare i nostri desideri supportando l’estensione del processo di produzione economica. La tecnologia, dunque, condiziona la realtà al punto da confonderla con l’immaginazione, come accade nelle opere di David Robbins, che usa le moderne tecniche grafiche e filmiche per creare immagini ibride, come dei pupazzi di neve fioriti che, come egli stesso ammette: «sembrano essere immagini per bambini ma l’emotività di cui parlano è rivolta agli adulti. Bisogna aver vissuto un po’ per raccogliere l’esperienza di vita che rappresenta un pupazzo di neve fiorito». Nei lavori di Robbins le stagioni si sovrappongono, mescolando il passato, il presente e il futuro, rinviando al nostalgico sentimento della scansione lenta e limpida del tempo.
In una società dove tutto ciò che è vecchio, si tratti di persone, esperienza lavorative o di oggetti, deve essere scartato, sostituito velocemente, poiché inutile, obsoleto e d’ostacolo al pieno godimento del presente, è difficile far coesistere tempi ed esperienze. David Jablonowski realizza una crasi linguistica in cui combina immagine e tecnologia, pittura e scultura, mostrando figurativamente la migrazione di una figura in un’architettura multimediale, riuscendo a combinare tecnologia e natura, cristallizzando il tempo in un quadro che rimanda a un object trouvé e, insieme, all’evoluzione dei sistemi operativi, in uno scontro tra passato e presente che non mostra alcun spiraglio verso il futuro. Condannando, forse, la totale smaterializzazione della memoria e il rischio di diventare un’epoca fantasma.
Infine, Paolo Puddu riflette sulla volatilità del nostro tempo, attraverso un lavoro dal titolo Between Dreams and Memories, sogni e ricordi che, quasi strappati al supporto ligneo, restano intrappolati sulla superfice della carta vetrata. Luoghi, spazi e tempi sospesi, una precarietà che si coglie nell’intervallo fisico dell’installazione d’acciaio, Doll, e anche in Smerghetto Time (behind his back), in cui si interroga sull’esitante futuro della laguna veneta che dimentica le sue radici e si nasconde dietro la sua immagine stereotipata.
Ilaria Tamburro
mostra visitata il 24 febbraio
Dal 24 febbraio al 30 aprile 2017
Danilo Correale, David Jablonowski, Paolo Puddu, David Robbins, Questo progetto non ha futuro
Galleria Raucci / Santamaria
Corso Amedeo Di Savoia Duca D’aosta, 190 – Napoli
Orari: dal martedì al venerdì, dalle 15:00 alle 18:30
Info: info@raucciesantamaria.com