L’esposizione dell’artista napoletana, memore delle esperienze vissute con Dino Izzo e Giancarlo Savinio nel gruppo Virus, è composta da circa cinquanta opere tra dipinti ad olio su tavola e sculture in ferro e legno ed è volta alla ricerca dell’interazione e dell’armonica fusione tra opera e spazio espositivo: partendo dall’anello di ferro che con le funi incatenava i loro desideri di evasione e attraversando i ricordi delle antiche letture, Carla Viparelli giunge alla profondità del simbolo e del mito del cavallo, archetipo fondamentale iscritto nella memoria umana, simbolo della cavalcatura, veggente e guida del cavaliere nella notte, il cui destino è inevitabilmente legato a quello dell’uomo.
In un’epoca in cui il linguaggio dell’arte contemporanea spesso risulta incomunicabile, la Viparelli resta saldamente ancorata alla figurazione, esprimendo la sua Religiosità nel senso lato di Sacralità universale, di Spiritualità, come quella che incitava il celebre capo Lakota Oglala, detto Cavallo Pazzo, a difendere le tradizioni del suo popolo, rappresentato qui da un’imponente corona di penne in ferro e legno, che riflette la sua immagine grazie ad un suggestivo gioco di luci e ombre.
Allo stesso modo l’artista fa riferimento alle carte napoletane, recuperando l’insegnamento esoterico del più antico dei giochi di carte: i Tarocchi, dipingendo l’elegantissimo Cavallo di spade – in cui la spada sembra sorretta da un serpente anch’esso simbolo oscillante tra cielo e inferno; Cavallo di bastoni; Cavallo di danari e Cavallo di coppe , dove la coppa, secondo il Graal medievale, contiene il sangue di Cristo e quindi il principio di vita, divenendo l’omologo del centro e il luogo dove è contenuta la tradizione perduta. Tradizione che Carla Viparelli recupera, a partire dalle tavole di legno restituite alla vita dal mare e che resuscita dipingendovi con gli oli; resti di lance affondate o di alberi naufragati che lasciano intravedere i segni della vita trascorsa.
Attraverso la purezza e la morbidezza del segno il cavallo sembra partecipare al segreto delle acque della fertilità (Sella marina), per poi condurci nei ricordi dell’infanzia con Cavalcavia , fino ad arrivare a Cavallo cavalluccio, “esercizio squisitamente pittorico, memore di Piero della Francesca e di Giotto” , come scrive Riccardo Notte nel catalogo della mostra.
Mentre la criniera del Cavallibro si è trasformata nel “Libro della vita” , il solare e luminoso Cavallo nove , dagli “ardenti fianchi di zolfo ” sembra voler spiccare il volo insieme all’ Alacriniera, guidato dal numero nove, simbolo del coronamento degli sforzi, conducendoci all’immancabile e fiero Cavallo di Troia, dove la simbologia si intreccia alla mitologia: la farfalla , l’anima che abbandona il corpo, si unisce al feticcio “bello, ma terribile” ideato da Ulisse, che determinò la caduta di Troia e la feroce morte dei suoi abitanti.
Al centro del percorso espositivo vi è l’imponente Pegaso, il cavallo alato che porta il fulmine a Zeus, il cavallo celeste per eccellenza, nato dalla Terra fecondata dal sangue di Medusa e poi elevato a Saggio iniziato, realizzato in ferro e legno di 310 cm di altezza e 240 cm di larghezza, le cui ali di farfalla sono formate dai caratteristici ferri di cavallo, gli stessi che lo porteranno verso la tanto desiderata libertà, che Carla Viparelli gli ha restituito visualizzandone il sogno.
giusy checola
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