Da un lato il petrolio come evidenza della vanità distruttiva del ventesimo secolo, dall’altro, il petrolio come carbon fossile, testimonianza e luogo di memoria sotto forma di stratificazioni che includono il passato e il futuro delle forme di vita che hanno abitato la terra. “Non c’è petrolio senza scheletro”, commenta l’imputato: un modo per sottolineare la reversibilità tra la vita organica e vita fossile, l’arte come eterno divenire dove il passato viene sempre recuperato per ricreare vita.
Antonio Serrapica (Castellamare di Stabia, 1960) dipana il filo conduttore delle sue opere, cospargendo le tele con uno strato acrilico di nero opaco, i supporti vengono così ricoperti senza pentimenti. Un modo per ricominciare da zero dopo le piogge acide di colori e i grafismi tempestosi esposti nello stesso spazio espositivo sette anni orsù. Le fiammelle che compaiono su tutti i lavori esposti diventano marca autoriale, loghi che notificano il percorso della sua vicenda artistica e biografica come nella cornice della foto che testimonia la sua attività nella galleria milanese di Franco Toselli, fondatore del gruppo Portofranco nel 1997 arricchito dalla collaborazione fruttuosa con la matita di Lisa Ponti. Ed è proprio in quel tratto gaio e fumettoso che ritroviamo la cifra ironica del bulino di Serrapica, come nei bozzetti sul golfo partenopeo oppure nella tela Centro direzionale slippato al petrolio. Perfino quel gregge che pascola su quella collina fiorente appartiene alla Oil Sheep Company grande lobby petrolifera del mondo immaginario dell’artista.
In un pianeta segnato dal consumo e dalla domanda incessante di petrolio. l’arte si impone come divertissement per esorcizzare il fantasma degli intellettualismi e per scacciare la paura di un nuovo conflitto geostrategico: dai fornelli al petrolio con angoli cottura, alle biciclette al petrolio, passando per le buste in plastica biodegradabile incollate al supporto, sempre rigorosamente nero.
Le opere esposte nelle galleria di Pino Cinquegrana confermano anche l’interesse di Serrapica per la documentazione realistica, laddove il mezzo fotografico si configura come supporto funzionale all’invenzione pittorica che ricopre le immagini. Da segnalare anche il ritorno della fetta d’anguria vero e proprio feticcio nella poetica dell’artista. Ironia vincit omnia, come da copione.
giuseppe sedia
mostra visitata il 7 settembre 2006
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