Alcuni piccoli cumuli di polvere pittorica disposti ordinatamente sulle tavole di legno insieme agli altri reperti performativi hanno una tonalità zafferano, lo stesso colore della polvere emostatica ancora impiegata dai veterinari per arginare le emorragie degli animali. Un rimedio medico di segno diametralmente opposto rispetto all’operazione catartica di Herman Nitsch (Vienna, 1938) che da oltre quarant’anni incide, martoria e strazia la carne delle sue vittime animali. Sangue e pittura. L’odore dei relitti organici e dei materiali artistici si con(fonde) nelle narici dei visitatori. Forse si tratta soltanto di semplici assonanze olfattive e cromatiche.
I relitti esposti , strumenti di una passione proto-cristiana, sono gli oggetti di scena che testimoniano a spettacolo già concluso la centoventiduesima azione dell’artista austriaco. L’evento che rientra in un’operazione complessiva di rinnovamento dell’attività della Fondazione prelude al completamento dei lavori per la costruzione di un laboratorio-archivio intitolato proprio all’artista viennese che Peppe Morra sta insediando nell’edificio della Stazione Bellini, l’ex centrale elettrica della zona di Pontecorvo all’Avvocata.
Nel settembre 2005, Nitsch aveva abbandonato pro tempore il suo castello di Schloss Prinzendorf per portare il suo teatro ufficioso all’interno del Burgtheater. Nulla è stato lasciato al caso nella preparazione dell’ennesima messa in scena crudele (la crudeltà qui è da intendersi come determinazione, rigore scenico nel senso artaudiano del termine). Anche la suddivisione dei compiti è rigorosa: i giornalisti e i turisti culturali sono vestiti in nero mentre le vittime e gli officianti che si alterneranno per nove ore sul palco indossano una divisa bianca destinata a non resistere a lungo ai fiotti di sangue ed agli schizzi di colore cha cadono anche sul pavimento dello scalone d’onore.
Nel suo lavoro Nitsch ha sempre anelato al ritus archetipico, ma soltanto con il trascorrere del tempo e la ripetizione delle norme performative il suo lavoro ha conquistato una stabilità esecutiva e concettuale tale da fargli acquisire una dimensione propriamente ritualistica. La ritualità si è solidificata diventando cerimonia (omeo)statica. Una cerimonia sempre uguale a se stessa eppure sempre diversa dove il rito diventato solido non si è comunque cristallizzato. Anche se alcuni ingredienti del cerimoniale hanno subito un processo di trasformazione, il sangue e la pittura essiccati sui sudari delle vittime consentono di tutelare l’integrità del rito consumato altrove, ma conservato nello spazio espositivo e riproposto in video insieme ad un blob antologico delle sue aktionen più note.
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