In principio era il colore. E mai che si intraveda una figura dietro la fuga delle sue impronte. Fuori dal tubetto, i colori di Shozo Shimamoto finiscono spalle al muro. O tutt’al più spalmati a terra.
La Fondazione Morra torna a battere il ferro della performance art, e la pittura ne esce doppiamente lusingata: con le opere in mostra negli spazi della galleria e la performance in piazza tenuta da Shimamoto in persona. In un caso, lusingata dalla tradizionale liturgia del chiodo e del quadro, appena contraddetta da una figurante in abiti di giornale, all’anagrafe Nishizwa Miyuki, che all’inaugurazione si professava “donna di calta”. Nell’altro caso, lusingata da una pratica sbalorditiva di pittura a distanza, ottenuta lanciando alveari di plastica con dentro bicchieri di vernice, direttamente dal gancio di una gru issata su un enorme lenzuolo bianco con al centro un pianoforte a coda. Un evento –seguitissimo dal pubblico- messo in calendario per il Maggio dei Monumenti.
Dicevamo appunto: lusingata. Perché da quando gli artisti Gutai misero al bando il pennello, la pittura non ebbe vita facile. Quello che questi pionieri dell’arte-evento contestarono a partire dagli anni ’50 era che la tecnica, osannata in Oriente come in Occidente, altro non era che uno specchio per allodole, la cartina di tornasole dell’ideologia imputata degli orrori della guerra, per la quale l’ordine e il progresso erano i giustizieri infinitamente perfettibili del Caos della Natura. Il grido d’ordine fu: restituire all’uomo il controllo delle sue azioni, e sottrarle all’ipoteca dell’infallibilità; rinvigorire la fiducia nel gesto, aldilà di ogni prolusione. Sperimentare tecniche e materiali, per trovare soluzioni nuove; e dare visibilità ai processi, perché la creatività è invenzione.
Buco è l’opera più datata, risale al 1946 e sorprende che anticipi di alcuni anni addirittura la più vulgata scoperta di Fontana: Shimamoto ha sostituito alla tela un supporto di fogli di giornale che, incollati tra loro, calcificano la notizia e ne perdono lo spessore, ma guadagnano in profondità dal taglio realizzato nel colore. Gutai invece è del 1950, e annuncia forse per prima l’adesione di Shimamoto all’Associazione per l’arte concreta Gutai bijutsu Kyokai: i fogli di alluminio si fanno strada sulla piccola superficie cartonata come una muffa sintetica.
Per il resto l’antologica spazia fino ad opere molto recenti, e variamente, tra omaggi a Sesshu, a Yasuo Sumi e Yozo Ukita, colleghi reverendi di Shozo.
Le opere intitolate al lancio di bottiglie sono tutte casi particolari di un esperimento che data agli anni ’50, e che si affida a strumenti sostitutivi dei classici dispenser di colore. Thaio, che vuol dire cannone, è un’opera del 1956 che si riferisce letteralmente allo sparo dei colori sulla tela con il ricorso ad un cannone caricato a salve con pigmenti ad olio.
Ma eccoci ai Lanci di Loco, discepola di Shimamoto e designer dei curiosi erogatori di plastica preparati ad hoc per le esibizioni dal vivo dell’anziano maestro.
L’impresa in piazza è delle più emozionanti, per chi abbia colto l’equilibrio messianico dell’orchestrazione: l’assistenza premurosa al risoluto trionfatore, il saliscendi cadenzato della gru per attingere i rifornimenti di colore, e la musica indolenzita di Charlemagne Palestine. E poi la minaccia costante dell’apertura inattesa, del cambio di scena e dello scongiurato supplizio dell’eroe appeso a un filo. Ma su tutto, il bisogno di fare dell’arte un avvenimento. Come la notizia che si viene a sapere.
carmen metta
mostra visitata il 26 maggio 2006
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Complimenti all’antesignano dei “silenzi"di Fontana , precursore dell’arte spettacolare e fuori controllo -
Peccato che l'interessante strada tracciata da questi pionieri del mondo contemporaneo ci abbia portati oggi al paradosso di considerare Arte solo ciò che è “teatrale” !
Il fenomeno è dovuto forse alla continua ricerca di affermazione /di popolarità dell’uomo (non solo artista..) contemporaneo che evidentemente è predominante rispetto alla necessità di comunicare qualcosa .
"Prima" sostituire i pennelli con il corpo piuttosto che con i cannoni era un'operazione concettuale importante, di "rottura".
"oggi" chi persevera nella riproposizione oltretutto anacronisrtica di questo tipo di spettacoli , solo per fare clamore, compie sempre un'operoazione di rottura ma...di "diversa natura"!