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Ponendo, per un momento, l’accento sugli atteggiamenti, sui modi involontari che si assumono nel visitare una mostra, si vedrà l’ingenuità nel voler trovare le tracce di una qualche emotività nei lavori in esposizione. Un’aspettativa che rende le visite alle gallerie e ai musei, passeggiate per luoghi ameni. Talvolta è così sprovveduta la nostra anima visiva, quella con cui entriamo nello spazio espositivo, che ci apre le porte a una visualizzazione scontata o, peggio ancora, incapace di comprendere, se c’è qualcosa da comprendere. Esiste infatti un malinteso, per cui si finisce vittime di un romanticismo affezionato che valuta le opere, gli artisti e le loro stesse intenzioni, al di fuori del loro tempo che, sembra quasi strano, è il nostro stesso tempo. In realtà, i momenti coincidono e siamo tutti coinvolti in questa rumorosa agitazione produttiva in corso.
È evidente questa incompatibilità della mente, dell’anima visiva, quando si guardano le opere di Giuliano Dal Molin (Schio, 1960) in mostra alla Galleria Lia Rumma di Napoli, con una personale che provoca un certo tipo di riflessioni. L’artista presenta una serie di elementi, le cui forme solide e ricreative sono ispirate alla pratica della pittura, alle tracce del gesto pittorico, di cui è data una rappresentazione dura e colorata, disposta liberamente nello spazio. Giuliano Dal Molin è allettato dalle dimensioni variabili che assumono le cose, dal vuoto luminoso che si dispone tra il concavo e il convesso. Trattandosi di forme, è il luogo espositivo a suggerire nuove possibilità all’artista, in un continuo passaggio di contributi e proposte di colore, che disegna un corpo in movimento, una mutevolezza onnicomprensiva.
Essa stessa non è una novità, cioè nulla di eccezionalmente singolare è presentato ma il punto è esattamente questo: le aspettative che coviamo, la ricerca di una rivoluzionaria rappresentazione che capovolga l’esistenza, che modifichi il panorama dell’abitudine, questo stesso desiderio è la manifestazione maggiore di quella ingenuità. Al contrario, il panorama che guardiamo è l’unico possibile, questo del caotico incontro di artisti, curatori, galleristi ed esperti del settore. Un coacervo non difforme da un pianeta nel pianeta, dove si innescano ovvie dinamiche non sempre chiare, molto criticabili, ma pur sempre di questo tempo, di questo preciso momento. È allora completamente assurdo cercare di applicare a questo tempo un’altra forma, altre direttive non plausibili e ottuse, che si ereditano più dall’ordinario filo dell’educazione che non dalla storia dell’arte.
In questo modo si comprende una personale come quella di Giuliano Dal Molin, la si giustifica alla nostra anima visiva. L’artista procede per sottrazione, salvando, della pittura, l’unica cosa salvabile, soltanto il gesto, l’atto fisicamente incisivo del passare il pennello sopra tutte le direzioni di una tela che non c’è e non avrebbe ragion d’essere. Ma se nel complesso di questa vitalità, nel ribollimento di creatività, dovesse tracciarsi una linea di fuga, come una mano che afferra e conduce via verso un punto sopraelevato, se questo movimento di fuga e distaccamento dovesse attuarsi, probabilmente potremmo assistere a una nuova visuale, che finalmente riesca a essere anche emozionante.
Elvira Buonocore
Mostra visitata il 27 maggio
Dal 26 maggio al 30 luglio
Giuliano Dal Molin
Galleria Lia Rumma
Via Vannella Gaetani, 12, 80121 Napoli
Orari: Dal martedì al sabato, dalle 10:30 alle 13:30 e dalle 14:30 alle 19:00
Info: 08119812354 – info@liarumma.it