Si è discusso di superamento del neoliberismo, della completa automazione dei processi produttivi, di cataclismi climatici, di modalità fluide del pensiero, di privatizzazione del pubblico, di localismo neo-primitivista, di solidarietà strutturale, di estetica dell’effimero, di vorticosi paradigmi relazionali orientati sul flusso dei dati del web. La congiuntura che sta caratterizzando questi primi anni del XXI Secolo, tra le altre cose, ha portato a un ampliamento smisurato della terminologia, una dilatazione tout-court delle parole. Dalla quantità di voci immesse nel discorso globale allo spessore semantico intuibile, lo spettro fuori controllo di un vocabolario sproporzionato aleggia su tutti i sistemi linguistici.
Tais-toi è l’imperativo che Fabian Marti (Friburgo, 1979) rivolge a un ipotetico interlocutore accélérationiste – silenzio accelerazionista! – con tanto di punto esclamativo per sottolineare l’enfasi di tale esortazione alla quiete. L’accelerazionismo è una corrente di pensiero che si è sviluppata negli ultimi anni – il “Manifesto for an Accelerationist Politics” è stato pubblicato nel 2013 – ed è caratterizzata da una definizione ipercontemporanea del marxismo, per un attraversamento della fase terminale del capitalismo grazie all’accelerazione dei suoi stessi processi produttivi, sociali ed estetici, nel segno di un atteggiamento interpretativo di apertura verso lo sviluppo tecnologico e i mezzi di comunicazione, considerati elementi di conoscenza.
Per l’artista, considerato l’astro nascente della scena svizzera, un po’ rockstar un po’ psiconauta, il rientro dell’identità nella dimensione del sé, una sorta di in-coscienza dell’essere, è un riparo dal frastuono tecnocratico. Così, l’imperativo verbale diventa volontà di resistenza biologica, un silenzio che si propaga fuori e dentro gli uomini e si esprime nella forma embrionale dell’uovo, «che noi rubiamo e mangiamo come nutrimento da creature che riconosciamo come esseri viventi e, tuttavia, inferiori, perché nella nostra storia di esseri senzienti, l’evoluzione è una linea tecnologica che porta alla consapevolezza. È una illusione, naturalmente», scrive Paul J. Ennis, nell’intervento critico per la mostra alla Galleria Fonti.
L’ovale è la traiettoria visiva che delinea la scansione della Galleria, tracciando il confine tra spazio e vuoto dell’architettura con immagini di persistenza e recessione. Figure ellittiche – ricavate con la tecnica photogram e accostabili, solo per impatto immediato, alle opere fotografiche di Laszlo Moholy-Nagy e alle schadografie di Christian Schad – si inscrivono in ampi rettangoli oscuri od opalescenti, alternandosi con ritmo serrato ma conchiuso, come una successione in tensione tra trama ed enigma. La superficie liscia, assoluta nella sua freddezza, è animata da un’energia sotterranea, piccole increspature e sottili irregolarità affiorano sul livello immediato della percezione, bolle, cavità e impronte digitali dissimulano vivi segni liquidi nel codice del dispositivo. L’atto del ritrarre l’oggetto, condotto al grado zero della rappresentazione in virtù di quel silenzio rivendicato, tuttavia, è indagato nell’ampio spettro della sua ambiguità semantica, oscillando tra il tracciare una linea riferita a un elemento identificabile e il sottrarre ogni allusione. Le sagome curve e ribollenti sorgono simili a riflessi che sfuggono alla morfologia, come vedere il buio in assenza di luce, mimesi geometrica dell’indeterminato.
Mario Francesco Simeone
Mostra visitata il 30 giugno
Dal 28 maggio al 31 luglio 2015
Fabian Marti, Tais toi accélérationiste!
Galleria Fonti
Via Chiaia, 229 – 80132, Napoli
Orari: dal lunedì al venerdì, 11.00 – 14.00 / 16.00 – 20.00
Info: info@galleriafonti.it