Cani, Marylin Monroe, NASA, sculacciate, mele, fiori e centinaia di altre immagini ricavate da Google, suddivise per categorie di parole chiave, fanno parte dell’archivio virtuale di Ida Tursic e Wilfried Mille. 140mila copie di cose, simulacri di oggetti, azioni e situazioni compongono una memoria visiva da cui attingere, sovrapponendo figure, mischiando colori, diluendo significati, per dare forma a ciò che verrà mostrato.
La coppia serbo-francese sottopone il mezzo pittorico a scomposizioni strutturali, non solo mettendo in condivisione la pratica artistica, realizzando un pastiche del concetto di autorialità , con gli interventi di due mani sulla stessa tela. Infatti, l’appropriazione dinamica dei contenuti diffusi dal web, elevata a exemplum della narrazione, opera nella profondità conoscitiva, dettando il metodo del linguaggio estetico, verso una iconoclastia del fenomeno reale. Una sovversione tanto più evidente perché spietatamente artificiale e legata alla convenzionalità dei modelli, skyline metropolitani e prati fioriti, pornografia e personaggi popolari.
La veduta del Vesuvio è emblema dei modi di osservare lo spazio, dal paesaggismo manierato dei pittori della corte reale alle cartoline commerciali del Grand Tour, dalla rivoluzione verista della Scuola di Resina alle fotogallery dei social network. Tursic e Mille scelgono di intervenire in questa tradizione e, in Vesuvio y giallo di Napoli – tra le opere esposte per la mostra alla Galleria Alfonso Artiaco – il paesaggio vulcanico è ritratto con gli elementi canonici ma il punto di osservazione non è situato nella prossimità al vero geografico, venendo ricavato, invece, in una zona di alterità , in un ambiente dell’intuizione virtuale nel quale le cose perdono la forma propria per diventare altro, simili a ombre.
Allora, trasversale alla sagoma del vulcano, alla sinuosità del golfo e ai ritmi della città , si staglia l’ideale parcellizzato dell’oggetto ritratto, l’immagine che sfugge ed è posseduta, riadattata e distorta dalla comunità globale. Tale interferenza è espressa tramite pesanti grumi di colore, macchie che nascondono la rappresentazione e creano un terzo livello di lettura, dopo quelli della tela e della figura. Questa sovrapposizione è usata come metodologia anche in Barboncino bianco, barboncino nero, dove la copertina patinata di una rivista di moda diventa schermo appiattito del vero, un fondale evanescente dal quale emergono profili astratti di colore. La divergenza tra la stabilità della forma e l’accidentale dell’astrazione, tra la cosa e l’immagine, è evidente nella serie di paesaggi floreali su fogli di carta, che occupano interamente una sala della galleria. I tratti stereotipati delle vedute naturalistiche si dissolvono tra i toni di grigio, che tentano di restituire una base visiva definita, e le increspature del colore rappreso in concentrazioni indeterminate.
Mario Francesco Simeone
mostra visitata il 16 giugno 2015
Dall’11 giugno al 31 luglio 2015
Ida Tursic e Wilfried Mille, Pasta al nero di seppia
Galleria Alfonso Artiaco
Piazzetta Nilo, 7 – 80134, Napoli
Orari: da lunedì a venerdì, dalle 10.00 alle 20.00