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Negli ultimi anni, il proficuo dialogo tra antico e contemporaneo risulta in continua crescita, soprattutto nei musei di archeologia che non si sottraggono alle contaminazioni scaturite dalle incessanti riflessioni sui tempi dell’arte e della storia. È quanto accade al Museo Archeologico di Napoli nel caso della mostra di Alexey Morosov (Frunze, 1974), curata da Alessandro Romanini e Kristina Krasnyanskaya e promossa dal Museo d’Arte Moderna di Mosca, nella quale forme plastiche contemporanee si confrontano con l’imponenza della statuaria antica. È significativo constatare, innanzitutto, come le opere siano state immerse senza alcuna separazione nel contesto dell’atrio d’ingresso, in continuità con il tessuto narrativo della collezione museale. L’aspetto che viene immediatamente messo in evidenza è quello del ponte, un’idea già suggerita dal titolo, capace di connettere diverse epoche e culture in un linguaggio senza tempo: la scultura classica.
Lo stile di Morosov viene ispirato dall’esasperazione e dalla raffinatezza ellenistica, dalla quale riprende anche le tecniche di modellazione del bronzo e del marmo, per combinarle con quelle moderne, come si può notare nelle slanciate cariatidi dagli accessori ipertecnologici della serie Cantata iTunes (2016). Per l’artista, le forme plasmate dalla civiltà greca sono alla base della cultura occidentale e, quindi, dotate di un alto fattore di riconoscibilità e comprensione, caricate di significati ulteriori nel momento in cui vengono calate pienamente nello scenario contemporaneo. Come sottolinea Romanini in catalogo, la sua ricerca è «anche una lotta che si oppone alla pervasiva pioggia di immagini che caratterizza la società contemporanea, icone depauperate di valore cognitivo e comunicativo». La figura dell’artista si identifica con quella del pontefice, etimologicamente il “costruttore di ponti” tra un passato e un presente che collidono in un futuro post-apocalittico, dove le rovine del progresso moderno danno vita a una civiltà dalle vestigia antiche, ritrovate in opere come Artemisia (2016). Ed è efficace, da questo punto di vista, scorgere, nella drammaticità delle figure urlanti Caryatid Supersonic (2013) e Kuros iGenus (2016), la sconcertante visione di un’umanità in piena crisi, senza punti di appiglio, impaurita e aggressiva come una belva imprigionata nel suo destino. Il crossover culturale e iconografico operato da Morosov culmina nell’opera Ericius (2016), un’installazione composta da binari ferroviari mutati in architravi con la tipica decorazione a goccia che, oltre ai significati impliciti e antitetici di stabilità portante e di veicolazione di mobilità, diviene anche una barricata difensiva.
Anche se poco affine alle dinamiche totalizzanti dell’installazione e soltanto lontanamente ispirata alla dirompente provocazione di Broodthaers sul museo, come da riferimento nel catalogo, la mostra apre uno spiraglio dissacrante sulla società odierna insieme a un oscuro presagio sul suo avvenire.
Annapaola Di Maio
mostra visitata il 24 giugno 2016
Dal 25 giugno al 31 agosto 2016
Alexey Morosov, Pontifex Maximus
Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Piazza Museo Nazionale, 19 – 80135 Napoli
Orari: dal mercoledì al lunedì, dalle 9.00 alle 19.30
Info: man-na@beniculturali.it