La razionalità del controllo spaziale, attuata attraverso il reticolo cartesiano che divide lo spazio, sia in alzato che in copertura, a conferire unità e continuità al manufatto architettonico. Il rigore della geometria a realizzare volumi chiari, puri. L’assoluta chiarezza espressiva, plastica, volumetrica e materica. Sono questi gli elementi essenziali dell’opera di Max Dudler, cinquattottenne architetto tedesco che unisce alla sua attività accademica presso la Kunstakademie di Düsseldorf un’intensa e fortunata vita professionale, con studi a Berlino, Francoforte e Zurigo.
La mostra, allestita nella suggestiva Sala delle prigioni di Castel dell’Ovo, è patrocinata dall’Assessorato alla cultura del Comune di Napoli e realizzata dalla Fondazione Internazionale per gli Studi Superiori di Architettura in collaborazione con la Facoltà di Architettura “Aldo Rossi” dell’ Università di Bologna.
L’esposizione racconta efficacemente la produzione architettonica di Dudler, con foto e disegni di numerosi progetti, ma focalizza poi l’attenzione in maniera particolare su sei di essi, illustrati con grandi installazioni fotografiche. Dalla Biblioteca Diocesana di Münster al Ministero dei Trasporti e dei Lavori Pubblici di Berlino, dalla Sede Centrale IBM Svizzera di Zurigo al Museo Ritter di Stoccarda, dalle Torri di Francoforte sul Meno alla Cabina di Trasformazione Elettrica di Berlino-Tiergarten.
L’architettura di Dudler muove da cinque punti fondativi: continuità, riservatezza, sensualità, scultoreità, assieme, avvalendosi di uno studiato gioco tra pieni e vuoti, del rapporto tra luci e ombre e di poco altro, sulla traccia degli insegnamenti del maestro Mies Van Der Rohe.
Il rigore che caratterizza le sue composizioni però, non restituisce mai spazi freddi e impersonali,
In Dudler la consapevolezza civica dell’architettura, del suo rapporto con la città e con la storia determinano edifici porosi, aperti verso la città, in un continuo gioco di trasparenze e rimandi. Un processo creativo che costruisce “connessioni spaziali per mezzo di concetti architettonici”, a partire dalla volontà di confrontarsi con lo “spazio culturale della città, così come si è formata nel corso della storia”.
Nell’ opera del progettista tedesco c’è un’evidente tensione etica. Le sue architetture appaiono, oltre che ottime risposte a contingenti quesiti urbani e costruttivi, come opere-manifesto di un atteggiamento. Un’attitudine contraria a quelle architetture che “con la loro esplosione di creatività e i loro fuochi d’artificio spesso ci impongono con indebita soggettività le correnti alla moda, che difficilmente lasciano ai fruitori alcuno spazio per esprimere la propria soggettività”. Un atteggiamento, quest’ultimo, lontano dai sensazionalismi e dalla volontà di stupire a tutti i costi che, specie in area tedesca, stanno abbracciando numerosi progettisti, nel solco della convinzione, che lo stesso Dudler attinge ancora una volta da Mies nel suo saggio Ricostruire la città, che “l’architettura non ha bisogno di essere reinventata ogni lunedì”.
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www.maxdudler.de
andrea nastri
mostra vista il 24 febbraio 2007
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