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Un’esposizione ibrida, una fusione ad hoc che concilia due differenti momenti artistici, per Tomaso Binga (Salerno, 1931), in mostra presso la Galleria Tiziana Di Caro di Napoli. L’artista – all’anagrafe Bianca Pucciarelli Menna – la cui scelta di uno pseudonimo maschile risponde a una radicale esigenza, ben oltre i limiti di un chiaro anticonformismo, è ospite degli spazi della galleria partenopea con una seconda personale, dopo la prima nel 2015, tutta rivolta a precedenti lavori.
Una selezione di opere richiamate dal passato dunque, seppur legate da un filo rosso visibile e consistente, sul quale lo stesso Binga ha fondato molta della sua produzione, vale a dire l’uso del polistirolo. È una tratta di forme e circostanze che salpano da molto lontano e, giungendo dai primi anni Settanta, riscoprono il gusto di mostrarsi, seppur in una nuova combinazione e sotto occhi diversi, educati in altro modo alla contemplazione. Ritratti analogici e polistiroli, collage compositi, realizzati con gli imballaggi interni alle scatole di cartone, oggetti d’uso comune che trovano nuova vita e fortificazioni di senso.
Le opere, tratte da due precedenti nuclei di lavoro per le esposizioni presso Paesi Nuovi Art Gallery di Roma e Il Diagramma 32 di Napoli, appaiono come un tempo, eppure, è forse vero che le istigazioni a venir fuori, a farsi portavoce di un’idea, si mutano con il tempo, il che vuol dire che la spinta all’esterno si assottiglia, riducendosi nello spessore in maniera percettibile e continua. Così, questo tipo di operazione, che non ha nulla di ambiguo ma che può sintetizzarsi solo nel gesto, primitivo e comune, di voltarsi indietro, può intristire, ridurre l’animo dell’osservatore a un punto confuso, nel marasma espositivo.
È un’arte ricombinatoria, che potrebbe assimilarsi a quel cinema americano che, rimasto privo di storie da raccontare, si precipita nel biopic senza spunti di ricerca. Ma l’azzardo del paragone si ferma a una prima valutazione, ideologica più che artistica, poiché nel centro di certe opere di Tomaso Binga si ravvisa, al contrario, l’ostinazione per una ricerca poetica che coinvolge una vita intera. Torniamo dunque a quella immagine ibrida del principio, che riguarda la figura stessa dell’artista, la sua vigile curiosità che lo porta nei territori del linguaggio, puntando all’utilizzo dell’arte come mezzo comunicativo in senso stretto, quale scrittura, codice alfabetico, quale strumento linguistico.
L’artista espone, negli spazi della galleria partenopea, un ammiccante autoritratto in cui un occhio e una bocca emergono dal prevalente colore bianco, che domina in tutti i lavori. Qui Binga manomette il polistirolo, sovrapponendo i volumi del viso e delle spalle, con una resa giocosa e vagamente ironica. Ma altre opere meritano attenzione, poetici ritratti come L’Astronauta, lavoro del 1972 e certamente carico dello stesso gusto infantile per i simboli, come se la mente dell’artista procedesse staccando le lettere da un testo e le pronunciasse una a una, come fa solo chi ancora non sa leggere. Autore di un meraviglioso Alfabetiere Murale, Tomaso Binga intuisce la capacità espressiva di una produzione letteraria e insieme performativa, dove la scrittura sia il più possibile vicina non già alla parola, non all’oralità, bensì al gesto.
Elvira Buonocore
mostra visitata il 15 dicembre
Dal 7 dicembre 2016 al 4 marzo 2017
Tomaso Binga
Galleria Tiziana Di Caro
Piazzetta Nilo, 7 – 80134, Napoli
Orari: da martedì a sabato, dalle 15:00 alle 20:00 o su appuntamento
Info: info@tizianadicaro.it