Ieri e il suo doppio. È
un secolo di guerre e paci, scoperte scientifiche contro il dogmatismo della
Chiesa. E, in un periodo di crisi, si raggiunge la cima della ricerca
artistica. Ma è notizia di oggi o dell’altro ieri? La risposta è affermativa
nei due casi, perché il parallelismo concettuale di
BaRock pone sullo stesso piano l’
Età contemporanea di
Arte, scienza, fede e
tecnologia con il Seicento, alla ricerca di ellittici contatti. Pensata in totale autonomia, con relative polemiche su
concetti e opere esposte,
Barock manca
di un senso di continuità con la mostra storica.
C’è
qui un barocco che scardina il contemporaneo, già dal sound del titolo e, con
(poche) opere specific,
relaziona
la cultura scientifica di ieri con quella tecnologica di oggi. Se Galileo mette
in crisi il protagonismo della Terra, il sistema
Relational delle comunicazioni si sviluppa con
Bianco-Valente in
un intreccio (che meriterebbe di non essere smontato)
di linee blu che avvolge
il cortile del Madre collegando punti rossi, metafore di persone, anonime come
i 78
Molti di
Antonio Biasucci, immigrati senza epoca che affogano nei nostri mari.
Grande, troppo spazio per
Damien Hirst, considerato che
Black Sun e le ossessionanti vetrine di blister si
erano già viste alla personale del 2004 al Mann, mentre raggiunge efficacemente
il senso del barocco
Domenico Bianchi nell’atrio della chiesa di Donnaregina, con le due sedute
in marmo – materiale simbolo del XVII secolo in architettura e scultura -,
curve come una facciata borrominiana, e gli ingannevoli drappi, che smascherano
l’artificio delle vesti.
Barocco laico per
Maurizio Cattelan,
che crocifigge una ragazza sull’altare della chiesa,
rielaborando un’agghiacciante fotografia di
Francesca Woodman, e trionfo della chirurgia plastica, nuova
religio populis,
per
Santa Orlan, protagonista ironica nelle vesti di una Vergine
combattente tra punk e formalismi berniniani.
Dal
sesso svelato a quello indagato nell’intimità di
The Cremaster Cycle, saga massonica di
Matthew
Barney, al nudo allegorico di un’Europa che ha perduto il potere
economico, sorretta da Africa e Asia, di
Mircea
Cantor. Due momenti “classici”
si materializzano grazie a
Cindy Sherman, che riprende i canoni compositivi del ritratto ufficiale in
Untitled
#471 e
Marco cavallo, fosforescente monumento equestre di
Claire Fontaine.
Gli
orrori della violenza agiscono su
Mona Hatoum, trasformando utensili da cucina in torture da
Inquisizione, mentre la guerra si fa teatrale nelle battaglie del
cinematografico Risiko dei fratelli
Jake &
Dinos Chapman. Non cade invece nemmeno una goccia di sangue nel
fanzaghiano
memento da morti bianche di
Giulia Piscitelli, e all’opposto la trasformazione lacerante dello spazio si
fa pulp in
Anish Kapoor. Tra illusione del reale e stupore per
l’effetto caricato, campeggia il
baroPop di
Philippe Parreno e di
Jeff Koons.
Rimangono molti dubbi sull’esito di
Pioner II, l’installazione di
Carsten Nicolai al Plebiscito, vista l’entità del denaro
speso e il risultato pressoché effimero. Ma anche questo è un aspetto della
retorica barocca. Peccato che non fosse previsto nelle intenzioni dei curatori.
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Ieri ho visitato la mostra Barock al Madre di Napoli. Apparte che si sarebbe potuta intitolare "Fare Mondi". Nel senso che più o meno, ogni opera sarebbe stata riconducibile al titolo/sottotitolo (Barock, arte, scienza, fede e tecnologia nell'arte contemporanea). E' sempre divertente visitare queste mostre blockbuster. L'atmosfera è come pervasa da un complesso di inferiorità. Sembra che a tutti i costi si debba giustificare la mostra attraverso didascalie che riprendono la storia antica (e il mantegna e il parmigianino, ecc) e attraverso la spettacolarizzazione. E alla fine le cose più riuscite sono proprio le più spettacolari e "blockbuster". Dopo la mostra al palais du tokio di parigi, e questo intervento al Madre, inizio ad avere seri dubbi anche sulla consistenza di Micol Assael. Le griglie delle api che con "le ali fanno una determinata frequenza che è anche la stessa frequenza...ecc ecc", mi sembra un po' forzato e veramente non sufficiente. E poi cos'è questa cameretta di parquet laccato? Dove sono finite le atmosfere siberiane? Pesante rischio imborghesimento a 30 anni. E poi anche fuori rispetto i germi migliori del suo precedente percorso. Inoltre, in questo momento ,c'è questo rigurgito imbarazzante e stucchevole di artisti-scienziati. Come se presentare un campo magnetico significhi unire arte e scienza. O presentare un alambicco sia sufficiente per unire la chimica all'arte.
Altro momento topico della mostra il lavoro dei Claire Fontaine. Un cavallo grandicello, blu ed in cartapesta che era il simbolo del movimento che ha fatto abolire i manicomi in italia. E una scritta (Ovviamente al neon) che recita (Ovviamente in inglese) : la "libertà è terapeutica?". Quindi?? Ecco. Riferimento colto. E cchi sapeva di questo movimento del "cavallo blu"? I CF sono proprio colti. Ovviamente il tutto senza prendere posizioni troppo chiare. Lasciando tutto immerso in un certo relativismo intelligente (ancora smart relativism): cosa avranno voluto dire? Meglio il dubbio piuttosto che limitate e pericolose posizioni. "Bhe...comunque il cavallo è bello e il blu klein funziona sempre". E si esce frastornati, e un po' così. Il cavallo potrebbe essere il progetto folle di un matto liberato dal manicomio... Ma poi vedi delle rotelline asettiche sotto le zampe e perfettamente sistemate. E allora anche questo brividino rientra.
Altro artista depotenziato negli ultimi tempi (ma con un nome perfetto) è Sisley Xhafa. Da quando si sono assopite le Urgenze da clandestino, sembra aver riscoperto duchamp, attraverso soluzioni che lasciano alquanto a desiderare. Giornale, parrucche e mezza finestra. Alla fine esci e le cose migliori sono veramente alcuni valori consolidati nel 1900, e non più "ggiovani".
Luca Rossi ma hai un lavoro?
Credo che sia il caso che tu faccia più spesso due chiacchiere con Enrico Morsiani!
Grazie Luca! tu si che ci hai chiarito la mostra.. molto meglio della recensione! e .. ovviamente.. non posso che essere d'accordo!