Come altri artisti della sua generazione, Vincenzo Rusciano s’impegna in un rinnovato rapporto tra arte e vita a cominciare dal quotidiano. Così la tradizione partenopea, che affonda le radici nella rappresentazione teatral-barocca del sacro, viene rievocata e rielaborata senza mai scadere nella citazione pura e semplice.
L’artista opera un doppio lavoro: una sottrazione che elimina la decorazione e il fasto del modello seicentesco e una moltiplicazione secondo i cànoni visivi più contemporanei: il linguaggio Pop o la scultura minimale. L’intento è di allargare il campo della rappresentazione per includere gli elementi scenografici dell’arte sacra, spogliandoli del loro significato religioso ed elevandoli a frammenti della memoria
Rusciano crea delle bacheche in vetro o delle cornici ricoperte di tessuti pregiati per raccogliere questi oggetti che sono ridotti alla sola “anima”, il materiale di base che poi -rivestito- dà vita alla statua seicentesca. Un filo di ferro su cui viene avvolta l’imbottitura di stoppa o di cotone. Le costruzioni plastiche che ne derivano non sono propriamente sculture, né figure compiute: esprimono questa mancanza, sono senza testa, mutilati che implicano l’intenzione di annullare il concetto stesso di scultura come disciplina tradizionalmente definita. Si viene a creare una peculiare “tassonomia”, una catalogazione del reale in cui volutamente alcune caselle restano vuote.
Un bosco di alberelli, ricostruiti in legno e lichene dagli artigiani del presepe, è disposto in fitta schiera su una grande tavola appesa alla parete, ma all’interno di questo quadro
La vita, come gli eventi che la compongono è fatta di queste appropriazioni in cui gli oggetti realizzati e non più utili vengono recuperati, per vivere nuovamente come soggetti stimolanti, come parte di un nuovo racconto creato dall’arte. Così per Rusciano l’arte è lo stimolo a verificare continuamente il proprio grado di esistenza. Un’arte che si interroga sulla complessità del visivo e incorpora le reti del reale e dell’immaginario rispecchiandoli nella molteplicità dei mezzi usati. Nasce in questo modo una curiosissima ibridazione tra fotografia e decorazione (le cornici imbottite e rivestite di tessuti barocchi), un’installazione che si avvale dei materiali più disparati: la scultura in terracotta, il filo di ferro, l’object trouvé e il manufatto realizzato artigianalmente. Inseriti come a corrispettivo “materiale” e tipicamente “italiano” dell’immateriale caro all’arte concettuale.
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mostra visitata il 15 marzo 2003
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