Un cerchio nero su una parete lattea. Segno grafico, che solo a una visione ravvicinata tradisce la sua tridimensionalità:
“È la ruota di un carretto siciliano”, svela
Concetta Modica (Modica, 1969; vive a Milano). Incassato nel muro, il relitto accoglie i visitatori e, girando incessantemente, li ipnotizza. Apparentemente algida, quella minimale traccia geometrica si carica di eco e contenuto. Esordio di un’esplorazione sul tema del “ritorno” e della “ciclicità” di vichiana memoria. Ed eccolo, Giambattista Vico, in un angolo della stanza adiacente, ridotto a microscopica miniatura mentre, imprigionato e arrancante dentro una nuda colonna tortile, tenta di risalire la china del suo stesso pensiero. Impervia impresa per chi sull’idea della storia come eterna spirale ha fondato la propria filosofia di vita.
La riflessione si sposta su un tavolo, fra minute installazioni, in una carrellata di
Paradoxa. Che la storia sia reiterazione di accadimenti sempre simili lo dimostrano i ridondanti proclami dei politici che -in tempi di battage elettorali- riempiono le loro bocche e le nostre teste. Frasi che, a guisa di eluso
memorandum, spuntano a sorpresa scartocciando i
baci di Modica, lingotti di cioccolato offerti in pasto agli avventori. Gustosa trovata dell’artista sicula, che rende manifesta un’imperitura quanto estesa certezza, giocando la carta del prodotto tipico.
A seguire, un accumulo di timbri, emblemi della transitorietà burocratica, si fa suggello di sentenze –
in saecula saeculorum,
finché morte non ci separi– che rimandano all’idea di un tempo perpetuo.
Ma allora, cosa rende la realtà imprevedibile se il “tutto” si riduce a perenne replica? Noi, ovviamente. È il nostro approccio al “tutto” a restituirgli unicità. Modica lo dimostra mutandosi in una sorta di
re Mida.
“One touch of mine, ossia, un mio tocco -dice l’artista-
trasforma un vecchio utensile, come la vite di un carro, in un prezioso gioiello”. Così come la decisione di collezionare sassolini basta a investirli di un inestimabile valore. Decontestualizzazione di oggetti che trovano dignità se collocati in uno spazio artistico. Discorso che, da un canto, guarda al
ready made duchampiano come indagine sul potere demiurgico racchiuso nella sola volontà dell’artista. Dall’altro, strizza nuovamente l’occhio al filosofo partenopeo e al principio del
verum/factum, secondo il quale l’unica verità accessibile è quella raggiunta attraverso il “fare”. Dunque, ciò che è identico può, tramite l’elaborazione creativa, assumere illimitate sfumature.
La foto di un paesaggio trasferita su carta carbone non dà il medesimo risultato se tra i due supporti vengono interposti filtri differenti. I petali di una rosa o la trama di un foulard filtrano diversamente l’immagine di partenza, rendendo dissimili i disegni finali. Ma, soprattutto, l’emozione che guida la mano dell’artista in un istante non sarà uguale a quella che la piloterà un attimo dopo. È come gettare sassi nell’acqua e non ottenere mai la stessa increspatura sulla superficie. Sembra, questa, la chiosa al video proiettato sul pavimento dell’ultimo ambiente della galleria. Dove, al ritmo di un impenitente ticchettìo, i ciottoli danno emblematicamente corpo alla frase che titola la mostra:
One More Time.
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...ma i cioccolatini di modica alla mostra tua erano troppo bbuoni....please ci dici come fare per recuperarli?...ne ho assaggiata una metà e mi è bastata per restarne a rota...cuncetttaaa aiutaci tu...slurp!!!!
Una mostra di molto sotto gli standard di Umberto di Marino. Un po' deboluccia e poco attraente.
Bella mostra, ottima recensione
gioacchino da fiore ma dimmi la verità
tu la mostra l'hai vista?
l'eleganza e la forza, il razionale che nasconde l'emotivo
forte lavoro formale
mostra di grande spessore
complimenti
forte. misteriosa. sentimento e ragione. modicafilosofica...