…..Tra….. il dire e il fare c’è di mezzo…
l’uomo. La mostra di
Giuseppe Penone (Garessio, 1947; vive a Parigi
e a Torino) si sostanzia già nel titolo, anticipando concettualmente e
visivamente l’intero progetto.
Un lavoro
organico, sia per la materia trattata che
per la mancanza di sbavature. Misurato, calibrato, equilibrato nonostante la
varietà dimensionale e formale dei lavori. Un percorso di trasfigurazione del
segno, di progressiva espansione. Così, una breve riflessione verbale si
riversa in una successione di delicatissimi disegni a matita e acquerello, in
cui la sagoma umana diventa anello di congiunzione tra elementi separati,
raccordo tra gli opposti. Un ruolo di mediazione che, fin dagli esordi in seno
all’Arte Povera, contraddistingue una ricerca che ha saputo evidenziare in
maniera sorprendente l’attitudine plasmante insita nelle energie naturali.
Semmai, il compito dell’artista è quello di “eternare”
quei processi attraverso la forma.
“Il tempo”, scriveva Penone,
“è anche un
tipo di azione umana che permette alle cose di esprimersi e di agire umanamente
anche al di fuori della durata e dell’azione dell’uomo”. Quando nel ’69 conficcava cunei
di ferro nella corteccia degli alberi, provocava, con un gesto apparentemente
aggressivo e temporalmente circoscritto, l’autonoma creatività della natura,
consegnando all’immortalità una scultura
in progress, mai definitiva, perché affidata
alla reazione incontrollabile della pianta a quel corpo estraneo.
Procedimento rovesciato per l’occasione partenopea. Qui,
un enorme tronco, spezzato al centro, è sostenuto orizzontalmente da cavalletti
che si ergono da una pedana d’acciaio, sulla quale sono impresse, in
corrispondenza della recisione, confuse orme di piedi nudi. Il fusto però non è
reale, ma è immortalato in una fusione in bronzo, metallo che, reagendo alla
luce, produce un effetto ligneo del tutto verosimile.
La struttura di sostegno crea tra i segmenti plastici uno
spazio interrotto, entro il quale lo spettatore può posizionarsi ricalcando le
impronte preesistenti. La variabile, in questo caso, è determinata
dall’individuo che, di volta in volta, utilizza la propria gestualità per
entrare in relazione con le due metà dell’oggetto, per fare da
tramite, diventando parte integrante
del tutto. Sempre nel segno di un dialogo fra contrari, pieno e vuoto, presenza
e assenza, chiaro e scuro…
Un’armonizzazione ribadita ulteriormente dalla coppia di
tele, poste l’una di fronte all’altra a inglobare la grande installazione
scultorea. Speculari e cromaticamente opposte, sembrano il risultato di un
frottage eseguito a grafite sul tegumento arboreo. Sfregamento di superfici
come
“momento in cui la pelle scompare alla vista per dare luogo alla
lettura tattile del contatto là dove, subito dopo, compare l’immagine della
pressione”.Principio d’immanenza, religione vitalistica, corporea,
epidermica a cui l’opera di Penone è, da sempre, devota.