La prima personale in Italia di
Katja Loher (Zurigo, 1979; vive a Basilea,
New York e Pechino) si tiene a Salerno, alla Galleria Tiziana Di Caro. Si
tratta d’una mostra improntata sull’utilizzo del video, prodotto attraverso
l’uso di strutture articolate, come sculture o installazioni. Tali strutture
sono sostanzialmente sfere orbitanti che sembrano riprodurre i satelliti, la
Luna e i pianeti.
Il lavoro dell’artista svizzera estrapola l’osservatore
dalla sua prospettiva corrente, introducendolo in una più ampia, in cui
s’instaura una relazione fra l’osservatore stesso e questo mondo “artificiale”.
Loher, dunque, pone l’universo al centro delle sue opere, e lo spettatore si
può immergere in esso, osservandolo più da vicino, come al microscopio.
La rassegna ruota intorno a una serie di lavori che
l’artista ha definito
Miniverse e
Videoplanet. L’installazione
Red Planet apre il percorso della mostra. Un
video, proiettato su un grande pallone di gomma, fluttua lentamente nello
spazio, accompagnato da musiche composte da
Asako Fujimoto. Sul pallone, raffigurante un
pianeta, persone anonime compiono coreografie ben strutturate: solo
analizzandole – quasi al microscopio, ancora una volta – si percepisce che
hanno un significato e diventano lettere da cui l’artista trae alcune domande.
Katja Loher usa spesso questo espediente, un vero e proprio codice linguistico
che l’artista stessa ha definito “
videoalphabet”.
Anche per la produzione dei
Miniverse Loher usa il meccanismo delle
forme sferiche, realizzate con materiali come la plastica, il vetro, il legno e
l’alluminio. La particolarità è che sono forate da ingressi a imbuto sagomati,
che vanno ad allargarsi verso il centro del cosmo artificiale, permettendo
all’occhio di esplorare le coreografie che costruiscono nuovamente domande,
parole e forme.
Per la mostra salernitana, Loher ha realizzato due opere
del gruppo
Miniverse:
Where is the centre of the sea e
Sculpting in time. Osservando nei fori della sfera,
nel primo caso si entra in un mondo acquatico, in cui l’artista formula domande
all’osservatore; prendendo il mare come oggetto di studio, l’osservatore è
invitato a riflettere sulle problematiche relative all’inquinamento e al
global
warming.
La mostra si completa con l’installazione del 2006
Peephole,
uno spioncino attraverso il quale
non è visibile nulla, mentre l’immagine del
voyeur è proiettata in un pallone
visibile a tutti i presenti. E si ha l’impressione che l’occhio percorra
l’intera stanza.