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fino al 6.III. 2004 | Bianco-Valente – Time Based | Napoli, Galleria Alfonso Artiaco

di - 21 Gennaio 2004

Un paesaggio mentale (mind landscape) lungo quanto un sogno, ma potrebbe essere un attimo elettronico. Interviene con un segno quasi inedito di smarrimento. Osservandolo si tenta di riconoscerlo come un viaggi onirici, un ricordo registrato e poi dimenticato che risale alla superficie corticale. L’immaginario umano non catalogabile al di fuori degli schemi della ragione ha una base comune in cui ognuno inscrive il proprio apparato percettivo. La coppia Bianco-Valente descrive un viaggio nel delirio immaginario ed elettronico della mente, visualizzando -senza uso di effetti speciali- il funzionamento dei gangli neuronali del cervello.
Se il problema di Wim Wenders nel film Fino alla fine del mondo era quello di dare corpo all’immagine dei sogni (e il film è un frammento sognato e poi riprodotto), per i due artisti la tecnologia viene utilizzata per dare un immagine visibile ai ricordi. La memoria viene rappresentata dal computer come “il punto” di materia elettronica con cui ridisegnare a piacere e muovere le immagini sedimentate. Cellule di luce come ipotetico inizio del fenomeno percettivo, quasi un aprirsi dell’occhio ai primi bagliori del risveglio, vanificazione dell’oscurità dinamica dello sguardo, come in “Mindscape Dwellwers” (2001) o in “Deep Blue Ocean of Emptiness” (2002). Invece “Slow Brain” (2001) era ispirato agli esperimenti sulle droghe condotti da Albert Hofmann.
La telecamera dà il modo di fissare l’attimo, la tecnologia introduce un nuovo elemento nella riflessione sul tempo. Se il tempo ha un’unica realtà, quella dell’istante, l’idea di tempo che si riferisce a una prospettiva, a una durata composta da istanti senza durata, viene annullata dalla velocità, dalla rapida trasmissione di dati che atrofizza il concetto di istante. Per questo la riflessione sul tempo, portata avanti da Bianco-Valente, ha un importanza fondamentale nel rapporto tra le tecnologia elettronica e la sua applicazione nell’arte contemporanea.
Nel nuovo progetto ideato per la Stazione della Metropolitana di Genova e ancora in fase di allestimento, il processo percettivo si rivolge alle forme di vita artificiale e alla sua evoluzione. Verrà usata una tecnologia sofisticatissima e un programma ideato appositamente per lo scopo. In una delle proiezioni in mostra intitolata “I should learn for you”, sulla trama astratta e vibrante dei pixel si inserisce una scena reale: un uomo fa volare un aquilone e l’immagine appare in maniera impercettibile, come in un flash di una frazione di secondo con effetto subliminale. In un’altra (“Uneuclidean pattern”), il vento smuove incessantemente un mare di spighe di frumento. Il colore è saturo, virato e distorto dall’uso di filtri. Tutta la memoria e il senso si riversano e addensano sulla sagoma incerta delle cose che sono solo la parvenza affiorata a farsi vedere. L’occhio è per così dire dentro l’immagine, ne è una sua molecola, è dentro il paesaggio mentale che è contaminazione assoluta del visibile e dell’immateriale.

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maya pacifico
mostra visitata il 20 dicembre 2003


GALLERIA ALFONSO ARTIACO
Piazza dei Martiri 58 (80121 – Napoli)
+39 0814976072 (info), +39 08119360164 (fax)
info@alfonsoartiaco.com
www.alfonsoartiaco.com
orario: lunedì al sabato, ore 10,00-13,00 e 16,00-20,00


[exibart]

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  • Il segno in quanto tale evoca immagini nella mente di ognuno. Non necessariamente si rappresentano come distorsioni ad una prima osservazione. Ognuno elabora il contenuto recepito secondo la propria cognizione del vissuto.
    Carmen

  • l'articolo di Maya Pacifico?...??indecifrabile, confusionario e atteggiante ...frasi e pensieri sconnessi...spero che non figuri nei libri paga della redazione EXIBART...!!!

  • Più che le immagini distorte e allucinate mi sa che è questa recensione frutto dell'uso inconsulto della droga.
    E a giudicare dai risultati direi pure che è roba di scarsa qualità.
    MAYA... cambia pusher!!

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