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In fondo non è colpa sua, ma dei suoi angeli privati”, aveva scritto Raffaello Causa nell’attacco di un testo critico redatto in occasione di una mostra di
Gianni Pisani (Napoli, 1935) presso la galleria Vittoria Colonna, nel 1975. Ma chi sono davvero gli angeli di G.P.? (La sigla fumettistica è utilizzata dall’artista partenopeo da dieci onorati lustri di attività per la titolatura di alcune opere realizzate a partire dalla fine degli anni ‘60.) Un esercito di angeli privati che lottano nelle nuvole, santi patroni
ad personam di pubblico dominio, oppure nunzi ufficiali del Cattolicesimo, come il pontefice Benedetto XVI in visita lo scorso ottobre a Napoli, al quale Pisani ha dedicato l’opera
Viene da noi. Un dipinto di oltre tre metri e mezzo per tre, nel quale papa Ratzinger, con lo sguardo in macchina, si rivolge in presa diretta al visitatore sullo sfondo di una piazza Plebiscito vuota e visivamente aberrata; alla sua destra è raffigurato uno dei gatti dell’artista, in omaggio alla passione tutta ratzingheriana per i felini (Benedetto XVI ne possedeva già due prima del suo ingresso in Vaticano). Sì, la scelta è ricaduta proprio sul gatto sempiterno, detonatore di simboli e rimedio affettivo contro la solitudine della vecchiezza.
In mostra vi sono ancora lavori a tecnica mista come
Il Letto,
La Foglia, senza dimenticare
Mi cadono le Braccia, ennesima variazione su un tema cinquantennale ri-proposto con rinnovata “freschezza egocentrica”, dove questa volta le lettere che compongono il titolo cascano a terra insieme agli arti superiori dell’artista, allo stesso modo delle lenti in
Ohh! Gli occhiali, delizioso
divertissement chagalliano, smaccatamente autobiografico. Un gruppo di opere datate tutte 2007 e selezionate personalmente da Pisani in collaborazione con Francesca di Transo.
La curatrice ha optato anche per l’esposizione di un pacchetto di opere realizzate nel 2005 in seguito all’ultimo soggiorno americano di Pisani.
Una menzione speciale va assegnata a
Il ponte, rielaborazione (in)discreta di un notturno statunitense, filtrata dalla luce solare entrata nell’appartmento caprese in cui l’artista ha realizzato l’opera. I ricordi personali sfaldano i contorni degli oggetti. Sono ancora quei segni pastellati che si dissolvono con ritrovata armonia nel genere letterario di una personalissima scrittura autobiografica.