Difficile credere che quel gorgoglìo da lavandino ingorgato sia il rumore della vita. Che il faticoso arrancare del nostro sangue somigli a un ossessionante gracidìo notturno. Amplifica la meccanica del corpo
Nunzio De Martino (Napoli, 1967), artista senza corpo e tutto concetto che, per la colonna sonora della sua seconda personale, s’immerge grazie al Doppler nel tessuto fluido senza versarne una goccia. Un torrente sgraziato che cigola sotto pelle, anzi sotto la finta pelle argentata o rossa sulla quale ricama i suoi
Passaggi: miriadi di cuciture random, vite senza inizio né fine che s’intrecciano come scie in un firmamento lievissimo, ma difficile da pettinare.
Così come criptico resta un gioco creativo che mira sottotraccia a sbilanciare gli stereotipi, per esempio accatastando contro la parete
Quel che resta della notte: 28 pannelli in legno di varie misure poggiati per terra e uno solo appeso, “
come se vegliasse sugli altri”. Una specie di altarolo cui sottostanno oranti stilizzati. Neri, grezzi. Pittura materica? No: 700mila spilli inchiodati su tavola e poi ricoperti di cemento e smalto. Soffocati? No: “
protetti”, “
suggellati”, “
custoditi”, testimoni d’un momento di ludici happening domestici in cui tutta la famiglia collaborava alla realizzazione dei pezzi in questione.
Sotto teca anche
Sogno, apparente versione minimal-chic di un’urna cineraria o di un braciere, collocata su uno slanciato trespolo: pagine strappate a casaccio dai diari tenuti dall’artista tra il 1985 e il 2007 e poi bruciate. Dunque, le illusioni, le speranze, i desideri sono svaniti? No, perché la combustione è servita a “
mescolarli”, a infondere loro nuovo calore e “
un’altra forma”. Solleticano invece il meccanismo della risemantizzazione le luccicanti spugnette abrasive d’acciaio, ridefinite come
Placenta o polarità opposte
Yin e Yang, brillanti matassine poste nel senso orario dell’eterno ritorno contro lo sfondo di ecopelle nera, così lucida da far “
entrare” di riflesso lo spettatore nell’opera.
Lavori che parlano di una componente autobiografica ancora massicciamente presente rispetto alla prima esposizione, nei quali però la passata
Stasis cede il passo ad andamenti vorticosi e avvolgenti, in contrasto con la rigidezza delle superfici e la sintesi cromatico-visiva. Ridondante rispetto all’economia generale pare
Lesione, scultura in legno laccato bianco isolata anche nell’allestimento, unico nodo irreversibile di un progetto che medita sui
transiti anche nelle due fotografie all’ingresso: un fiammifero e una candela, appena visibili nel buio. L’uno si spegne per accendere l’altra: una morte che fa
impressione ma solo sul negativo, pura cessione d’energie.
Fattosta, però, che le due immagini, per chi è abituato a “leggere” normalmente da sinistra verso destra, presentano il rapporto causa-conseguenza a parti rovesciate. Dunque?