È poi così efferata la bellezza? È davvero così inaccettabile il sereno? Da tempo l’arte dà spazio -complice forse il riconoscimento freudiano delle pulsioni più distruttive- al lato oscuro, rabbioso e sofferente dell’esperienza umana, con verità così cruda da sbranare l’anima in una morsa d’angoscia. Giustissimo ridare interezza all’uomo. Eppure, talora si giunge al nuovo fondamentalismo di rifiutare tutto ciò che non rientri nel tormentato, nel
dark side of the moon, in una nuova parzialità di visione. Non così per
Darren Almond (Wigan, 1971), e non è forse un caso che lo affermi nella sua nuova personale a Napoli, rischiarando le notti di luna piena.
Almond non ha paura della bellezza, e anzi la profonde a piene mani nell’armonia compositiva e tonale dei
Fullmoon, che inondano la galleria della metafisica e stupefacente luce rivelata dalle notti lunari, catturate con una lunghissima esposizione. L’umbratile e intimistico mistero di
Fullmoon@Sesshu,
Fullmoon@Lely e
Fullmoon@Mikayo è subito rischiarato dall’abbacinante e archetipica poesia di
Fullmoon@Sakura Hanami e
Fullmoon@Californian Oaks, e movimentato dall’articolata dualità luministica e umorale di
Fullmoon@Burns Bay o
Fullmoon@Merced Meadow. Gli scatti indurrebbero a rievocare il panico sprofondamento in una Natura umanizzata del Romanticismo. Eppure, il Sublime ricercato da Almond è di altro genere, e il suo senso è tutto lì, in quella piccola @ inequivocabilmente
hi-tech raggomitolata nei titoli: è lo strappo postmoderno dello scoprire quanta altra potenzialmente infinita bellezza l’intervento tecnologico può estrapolare dal reale.
Solo apparentemente “naturalistici”, i paesaggi dell’artista sono in realtà estremamente artificiali, dal momento che non sarebbero stati possibili senza la strumentazione utilizzata. Non più sopraffatto dalla grandiosità del cosmo, ma anzi artefice egli stesso di un infinito potere capace di superare i limiti naturali, l’uomo di Almond scopre quello che Mario Costa chiama
“sublime tecnologico”. È la meravigliata contemplazione di questo flusso immateriale di virtuale energia -intesa quasi come analogo di quella naturale, in una serena visione armonizzante uomo e scienza- il vero oggetto dei paradossali pleniluni dell’artista, così come l’invisibile fluire del tempo, più che quello visibile della cascata, è il reale fulcro di
Falls Sleep.
La notte negata nei
Fullmoon ritorna ora come variabile indispensabile per indagare, oltre al differente disegno creato dall’acqua -che di sera, ghiacciandosi, si assottiglia per poi annullarsi del tutto- anche l’alternanza cromatica dei pannelli. E del tutto “interiore” è anche la bellezza derivante dall’accostamento modulare dei riquadri, che induce una lettura astrattizzante e decontestualizzante del dato reale, al di là del rappresentativo. Oltre, nelle viscere di un’innata armonia e bellezza che ormai non spaventa più.
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artiaco non è una galleria, ma un negozio. Dov'era l'artista la sera dell'inaugurazione???? Non c'era! Ovvio, l'altra volta si ora no. Della serie vendimi le opere ma non avallo la tua attività di gallerista. Ti tratto da commerciante.
Giusto.
Si tranquillizzi Paolo, Darren Almond sarà a Napoli nei prossimi giorni al rientro dall'indonesia e dall'Irlanda dove ha realizzato dei nuovi Fullmoon. Forse le è sfuggito che la mia galleria lo rappresenta insieme ad altri quattro amici Chantal Crousel, Max Hetzler, Jay Jopling e Matthew Marks.Capisco il suo disappunto, evidentemente l'aspetto che maggiormente l'interessa è la mondanità non i contenuti.
Distinti saluti
Alfonso Artiaco
cavolo! la prossima volta che vado alla cappella sistina devo ricordarmi di protestare se non trovo Michelangelo lì! quei pretacci vogliono solo farsi pagare il biglietto!
bella mostra, bella recensione