Ventiquattro storie cristallizzate nel tempo emergono da un passato recente. Il grande formato scelto da
William Eggleston (Memphis, 1939) caratterizza tutte le immagini fotografiche di
Portraits 1974, un ciclo di ritratti eseguito appunto in quell’anno e oggi dislocato nelle sedi di Napoli e Roma dello Studio Trisorio. Sono uomini e donne senza nome impressi fino a colmare lo spazio visivo, mentre in qualche caso si trovano come soggetto principale tracce di luoghi vagamente riconoscibili all’interno di una geografia tutta americana. Identità volutamente anonime per un fotografo che scatta -a suo dire- immagini “democratiche”, cioè cattura indistintamente soggetti umani, elementi della natura o, ancora, oggetti camminando per le strade del suo Tennessee.
Questa serie, forse dimenticata in un cassetto o messa in
stand-by per dare spazio negli anni ’70 al versante naturalistico, con foto di flora e paesaggi giamaicani e caraibici per l’
American Telephone and Telegraph Company, è accomunata dalla tecnica del banco ottico, che permette di variare liberamente il punto di vista dell’obbiettivo fotografico, creandolo attraverso lenti e specchi semovibili.
Eggleston, inventore e sperimentatore in tutta la sua attività, mentre insegna a Harvad scopre il
dye-transfer, un procedimento di stampa del colore che genera un rapporto particolare con i soggetti trattati, di forte intensità luministica e compattezza del colore, con cui inoltre accetta precocemente la stampa “a colori” sdoganandola come genere artistico.
Giovani donne e uomini, bianchi e neri: nelle sequenze intere o a mezzo busto si coglie forte il segno di un’epoca in cui cultura hippy, lotta razziale e arte psichedelica costituivano uno stile di vita. Eggleston non sembra dedicare troppo interesse all’indagine della sfera emozionale di queste persone, concentrandosi prevalentemente sulla tecnica esecutiva. Precisione delle luci gettate sui volti, come il primo piano della ragazza in rosa, quasi un ritratto quattrocentesco del
Ghirlandaio per taglio compositivo e raffinatezza formale. Ma la storia di ognuno affiora in piena autonomia. A Roma, una signora all’ultima moda con un minivestito giallo, sull’onda lunga dello stile elegante di Jakie Kennedy, si oppone a Napoli a un ragazzo nero in un parcheggio, vestito “in tiro” prima di entrare in qualche Studio54 di Memphis. Altri, come il biondino in t-shirt fucsia, le ragazze della faccia pulita e i capelli lunghi, potrebbero trovarsi sulla copertina di un disco o in una pubblicità di moda, perché risultano classicamente attuali, negli sguardi e nel rispetto di canoni estetici che si ripetono oggi senza grande originalità.
Portraits 1974 è diventato un ciclo senza sosta, il cui prossimo passaggio -oltre alla sezione attualmente in mostra da Photology a Milano- sarà al Whitney di New York nel 2008. In attesa che altri ritratti vengano fissati ora per farci vedere “com’eravamo”.