Fenomenologia del dolore o del distacco? Frenetica sete di vita o di morte? Non è certo minimalista e banalizzante il mondo iconizzato da
Franko B. (Milano, 1960; vive a Londra). Un percorso erto e tortuoso, affogato tra pulsioni violentemente distruttive e struggentemente tenere, di una tenerezza che non accarezza ma punge efferata: la vita, restituita dal suo filtro, è un itinerario di ricchezza barocca e direzione decadente, che non esita a immergersi nei pantani più oscuri.
Il fango viscoso dell’ossessione, la soffocante pece del dolore, la calce ottundente dell’insensibilità, l’oro della mistificazione: la persona e le creazioni dell’artista si rivestono di spesse coltri di materiali – acrilico nero, biacca, vernice dorata – che, oltre a mostrare la costante natura e derivazione pittorica della sua ricerca, danno corpo alla perdurante necessità di indagare ed esorcizzare gli aspetti più estremi del vivere.
Guidando in questa complessa ricerca, l’approccio curatoriale dà visione del multiforme
modus operandi dell’autore grazie a una selezione che spazia tra diversi temi della sua produzione.
Sarcastico disincanto espresso a dimensione ambientale, secondo i più recenti processi operativi dell’artista, orientati a una robusta presa di possesso di spazi quotidiani, è nella “chiesa” dalla serie
Golden Age ricostruita nel sotterraneo. Decontestualizzate e defunzionalizzate, le panche dipinte d’oro sono ormai meri oggetti scultorei dall’irreale e tattile levigatezza, inquietanti evocazioni di presenze estromesse dall’azzeramento identitario delle convenzioni religiose.
Risalendo, è il neon
Long live romance a contrapporre al buio opprimente della “cappella” un’altra eternità e sacralità, quella del desiderio e della passione. Cortocircuito Eros-Thanatos ed Aeternitas-Vanitas forse non troppo inaspettato, quello innescato dal vicino scheletro tratteggiato nell’acrilico nero. Lo stesso corposo pigmento, lavorato in sapiente dialogo con la luce, riveste di distanziamento lucido, elegante e quasi glamour gli scottanti temi – politica e omosessualità – degli altri
Black Paintings, e persino la morte e il dolore evocati dalle sculture
Love in times of pain.
È un ulteriore ma opposto monocromo bianco a meglio rappresentare la morte morale e corporea nelle foto tratte da alcune performance:
Mama I can’t sing,
Aktion 389,
I miss you inscenano la mortificazione e lo stordimento di un corpo torturato e autotorturato che solo se, imbiancato cadavere, “muore” fuori da se stesso può levare il terrifico grido di aiuto del sangue che lo riga, alla ricerca dello sguardo collettivo come unica risoluzione.
Lo shock non è cercato ma inevitabile, in un linguaggio che devia dall’arte e dalla comunicazione per farsi esposto rito di catarsi da “
qualcosa che è molto intimo ed è bene che si renda pubblico, altrimenti sarebbe molto pericoloso”. Del resto, per Franko B. “
è bene, è meglio se l’arte va oltre se stessa”.