Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
03
novembre 2008
fino al 9.XII.2008 Ousmane Ndiaye Dago Napoli, Franco Riccardo
napoli
La scultura gettata tra le braccia della fotografia. Modelle africane nappate di argilla si adagiano su sfondi indeterminati. Messa a fuoco di accessori seduttivi, che respingono il fascino primitivista per i nudi. L’originalità dei riti si gioca nel dettaglio...
“Il jette la peinture et la sculpture dans les bras de la photographie”, ha scritto Habib Demba Fall in una articolo dedicato a Ousmane Ndiaye Dago (Ndiobène, 1951; vive in Senegal) e apparso sul quotidiano senegalese “Le Soleil” in occasione della 49esima Biennale di Venezia. Una formula efficace per definire la produzione dell’artista africano, a patto di ridimensionare il peso dell’elemento pittorico nella costruzione complessiva del ciclo Femme Terre, inaugurato al tramonto degli anni ‘90.
Le deflagrazioni cromatiche di pigmenti naturali che schizzavano sulla pelle delle modelle rivestivano un ruolo assai sopravvalutato nel suo lavoro, legato piuttosto all’occasionalità dell’evento. Una celebrazione cromatica amplificata dalle impronte colorate lasciate dai modelli femminili a contatto con le quinte degli spazi “foto-griffati” di Dago. Forse questa referenza aleatoria alla pittura parietale era l’unico segno pittorico che poteva giustificare un rimando alle antropometrie di Yves Klein o ai “bagni di fango” di Gutai.
Più pertinente il riferimento alla scultura gettata tra le braccia della fotografia. Le figure femminili di Dago – talvolta piegate all’iconografia della statuaria classica – dominano il campo visivo delle sue fotografie, annullando la dialettica tra avampiano e sfondo. E le quinte indeterminate e sfocate della messa in scena non sfruttano mai tale opportunità decorativa. I corpi sono coperti a mani nude, oppure da lembi di stoffa che cadono in un panneggio leggero. In alcuni casi le torsioni acrobatiche per celare la fisionomia dei volti rompono gli schemi compositivi della scultura occidentale.
Da Franco Riccardo, uno dei primi galleristi europei a scommettere su Dago, una rilettura africana delle Tre Grazie canoviane convive con le più originali composizioni, messe in moto da gesti di velamento che nulla hanno a che fare con la pratica dell’hijab. Come ha spiegato T.K. Biaya nel saggio contenuto nel volume Cosmopolitanism (A Public Culture Book), la società senegalese è entrata in contatto con l’Islam soltanto da cinque secoli e ha tollerato la libertà dei costumi, legittimando le pratiche locali di seduzione, prima della sua ibridazione con la cultura occidentale.
La più recente serie di busti celebra il secolare cosmopolitismo della cultura senegalese. Composizioni che relegano sullo sfondo il corpo, per valorizzare gli accessori e la biancheria intima come il bathio, tradizionale gonnellina profumata dagli effluvi di sandalo e gomma arabica. Campioni d’alta moda africana arricchiti dal ferr, una cintola composta da grani d’incenso, e murrine venete. Strumenti di una seduzione ibrida e distante dal reazionismo morale degli abacosts zairiani confezionati durante il regno di Mobutu e dalla cleptomania africana per le griffe occidentali, ostentata dai sapeurs nelle strade di Kinshasa.
Si potrebbe affermare che Dago stupisce perché il suo sguardo fotografico sugli oggetti non è mai accessorio.
Più pertinente il riferimento alla scultura gettata tra le braccia della fotografia. Le figure femminili di Dago – talvolta piegate all’iconografia della statuaria classica – dominano il campo visivo delle sue fotografie, annullando la dialettica tra avampiano e sfondo. E le quinte indeterminate e sfocate della messa in scena non sfruttano mai tale opportunità decorativa. I corpi sono coperti a mani nude, oppure da lembi di stoffa che cadono in un panneggio leggero. In alcuni casi le torsioni acrobatiche per celare la fisionomia dei volti rompono gli schemi compositivi della scultura occidentale.
Da Franco Riccardo, uno dei primi galleristi europei a scommettere su Dago, una rilettura africana delle Tre Grazie canoviane convive con le più originali composizioni, messe in moto da gesti di velamento che nulla hanno a che fare con la pratica dell’hijab. Come ha spiegato T.K. Biaya nel saggio contenuto nel volume Cosmopolitanism (A Public Culture Book), la società senegalese è entrata in contatto con l’Islam soltanto da cinque secoli e ha tollerato la libertà dei costumi, legittimando le pratiche locali di seduzione, prima della sua ibridazione con la cultura occidentale.
La più recente serie di busti celebra il secolare cosmopolitismo della cultura senegalese. Composizioni che relegano sullo sfondo il corpo, per valorizzare gli accessori e la biancheria intima come il bathio, tradizionale gonnellina profumata dagli effluvi di sandalo e gomma arabica. Campioni d’alta moda africana arricchiti dal ferr, una cintola composta da grani d’incenso, e murrine venete. Strumenti di una seduzione ibrida e distante dal reazionismo morale degli abacosts zairiani confezionati durante il regno di Mobutu e dalla cleptomania africana per le griffe occidentali, ostentata dai sapeurs nelle strade di Kinshasa.
Si potrebbe affermare che Dago stupisce perché il suo sguardo fotografico sugli oggetti non è mai accessorio.
articoli correlati
Dago alla Bel Art Gallery di Milano
giuseppe sedia
mostra visitata il 14 ottobre 2008
dal 9 ottobre al 9 dicembre 2008
Ousmane Ndiaye Dago – Femme Terre
Franco Riccardo Artivisive
Via Chiatamone, 63 (zona Chiaia) – 80121 Napoli
Orario: da lunedì a venerdì ore 15.30-20
Ingresso libero
Catalogo Prearo
Info: tel./fax +39 0815444300; info@riccardoartivisive.it; www.riccardoartivisive.it
[exibart]