Anna Sargenti (Roma, 1948) lavora da tempo alla combinazione di linguaggi e alla traduzione in pittura-collage o assemblages oggettuali, del proprio universo di emozioni. Suggestioni risvegliate dalla lettura di testi letterari -Breton, Rimbaud- o dalla scoperta di luoghi insoliti e non deputati all’arte (Similitudo/Opere recluse, presso l’Ospedale Frullane, 1994).
Mentre in Bianco è Anima, lavoro allestito nel 2003 presso le Prigioni di Castel dell’Ovo, l’artista rileggeva la vicenda del Minotauro alla luce del testo dello scrittore svizzero Friederich Dürrenmatt, in Come il giorno e la notte la Sargenti si lascia sedurre dall’opera poetica di Thomas Stearn Eliot, usando il medesimo processo creativo.
Sui supporti più diversi, la poesia si mescola alla materia pittorica. Sostanza da cui emerge l’immagine di Marlon Brando, icona del cinema e mito generazionale. Il genio straordinario, personaggio affascinante e allo stesso temp o irregolare, votato ad una vita tragicamente travagliata, è messo a confronto con l’ideale perfezione formale suggerita dalle immagini di statue classiche.
Tutte le opere, dalle tele con le loro vecchie cornici, ai rami assemblati con filo di ferro, alle superfici in policarbonato, sono dipinte in rosa – “rosa della memoria e rosa dell’oblio” – colore che l’artista sceglie per la capacità di evocare la terra, la pelle, il vissuto. Una scelta cromatica calda e appassionata, come la voce di Maria Callas in sottofondo, che segna il distacco più netto dal lavoro precedente interamente bianco.
Vecchie tele riutilizzate, mucchi di rami, matasse in filo di ferro che trattengono poche parole trascritte su frammenti di plexiglass, il segno veloce che ferma e compone immagini e pensieri: queste le modalità proprie con cui l’artista si confronta con il tema del tempo. Per ricordare l’insolubile alternanza di giorno e notte -vita e morte- e l’ambivalenza cui siamo condannati e che permea l’esistenza, le opere sono presentate in due spazi distinti: uno in superficie e l’altro sotterraneo, il primo ricco di luce, il secondo immerso in un buio quasi totale. Oscurità da cui emergono, come steli funerarie, casse ricoperte da collages e fiori. Il silenzio che accompagna il pensiero segreto della morte è un vuoto che si riempie di segni, i segni della memoria e del suo perenne tentativo di resistere contro il tempo.
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la mostra più brutta vista a Napoli negli ultimi 10 anni
Ciao blu raven,
ho pensato...sei troppo simpatico!
Che ne dici di curare TU una mostra da ME?
Non sto scherzando.
Guido Cabib