Molto spesso le mostre di architettura sono progettate per una fruizione da parte di addetti ai lavori. Quando però ciò avviene in sedi istituzionali preposte alla diffusione delle arti contemporanee sul territorio, la questione può diventare problematica. Delle tre mostre in oggetto, in corso al PAN di Napoli, due -quelle sull’architettura in Portogallo e in Brasile– provengono da altre sedi espositive e presentano una lettura particolarmente criptica per i meno avvezzi al discorso architettonico. Di più, il riuso di mostre già allestite in altre sedi, in qualsiasi settore dell’arte, è pratica da utilizzarsi con grande cautela, a rischio di snaturare e sminuire il valore delle mostre stesse.
La mostra Disegnare nelle città. Architettura in Portogallo curata da Álvaro Siza per la V Biennale di Architettura di San Paolo e arricchita, in fase di presentazione alla XX Triennale di Milano, con le foto di Gabriele Basilico, prende il via idealmente dal misurato e pertinente intervento del 1982 nel quartiere Malaqueira di Évora ad opera di Siza stesso, fondatore con Fernando Tàvora della nuova scuola di architettura di Porto. Da qui si dipana una trama espositiva che analizza l’evoluzione architettonica ed urbanistica del territorio portoghese, attraverso dieci interventi realizzati negli ultimi quindici anni. Molto interessante il confronto fra i progetti degli architetti portoghesi dedicati alla città di Porto, impostati su quella scala umana che è bandiera e vanto dell’architettura lusitana, e l’atterraggio -quasi da disco volante- nello stesso contesto, della Casa della Musica, del 2003, firmato da Rem Koolaas / OMA. Un contrasto forte tra le sempre sperimentali tendenze dell’architettura olandese e quelle più tradizionalmente contenute dei padroni di casa, per i quali esemplare risulta l’intervento della Funicolare dei Guindais, sempre del 2003, opera di Adalberto Dias.
Spostandoci a Lisbona, è l’allestimento stesso della sala che evidenzia il debito culturale che la città porta nei confronti dell’intervento che accese il volano della riqualificazione urbana: l’Expo del 1998. Tre progetti di trasformazione del tessuto urbano presentati mediante plastici ed esecutivi, sui quali dominano incontrastate le foto di Basilico dedicate agli interventi sul lungo estuario del Tago e fra i quali risaltano per aura poetica il Padiglione del Portogallo di Siza e la Stazione d’Oriente di Santiago Calatrava. Le foto di Basilico rappresentano la chiave di lettura della mostra per i non architettonicamente formati, il vero tramite per un pubblico di non addetti ai lavori e sono sviluppate, secondo sua stessa affermazione, “come un road movie”, testimonianza di un viaggio nel quale egli ha voluto “riprendere le architetture non come oggetti ma come frammenti di città”.
Architettura Contemporanea in Brasile, già esposta alla Facoltà di Architettura ed Urbanistica Escola da Cidade di San Paolo e all’Universitat de los Andes, a Bogotà in Colombia, ha le dimensioni di una mostra da padiglione universitario destinato alle esposizioni temporanee, come tanti se ne vedono nelle facoltà di Architettura in Europa e nel resto del mondo. L’annunciata sezione sulla produzione dei principali architetti del novecento brasiliano manca e quindi il tutto si riduce ad una manciata di stretti pannelli verticali che illustrano altrettanti progetti degli ultimi anni, mediante una foto in bianco e nero, una pianta o una sezione e un testo dell’autore, come tante pagine di un catalogo.
Si arriva, infine, al Seno di Elena e il Fuoco di Napoli, mostra nata e sviluppatasi all’interno del Corso di Laurea in Arredamento, Interno Architettonico e Design della Facoltà di Architettura dell’Università Federico II di Napoli. Unica mostra, fra le tre, che a livello formale si presenta di più facile approccio ma, a livello contenutistico, risulta essere la meno interessante. Ciò che è strano è che l’unica cattedra di Design dell’Ateneo federiciano proponga come percorso di ricerca la riedizione di forme vitree presenti nei quadri dei maestri del novecento, come Le Corbusier o Ozenfant, oppure rivisitazioni di ceramiche provenienti dagli scavi di Paestum Cuma e Ischia, o, ancor di più, lo studio dei sopravvissuti manufatti in terracotta provenienti dalla fabbrica napoletana Stingo, chiusa negli anni Cinquanta.
giovanna procaccini
mostra visitata il 31 marzo 2006
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Finalmente ritornano a Napoli le mostre sull'architettura internazionale, allestite in uno spazio pubblico!Concorrono con altre tipologie espositive a ravvivare il panorama culturale della città!