Un’installazione en plein air nel cortile centrale, un video diluito su sedici schermi nella project room e un libro fotografico disponibile all’acquisto. Questi i tre momenti della mostra napoletana di Claude Closky (Parigi, 1963) curata da Marie Muracciole.
Manège è il cuore pulsante dell’intervento. Già presentato al Centre Pompidou di Parigi in occasione della vittoria del prestigioso Prix Marcel Duchamp nel 2006, consiste in una infilata di sedici video al plasma che presentano infiniti frammenti –dai 4 ai 20 secondi ciascuno– di immagini scaricate da internet, sottolineate da jingle demenziali. La sequenza, che scorre in senso orario sui video, costringe lo spettatore a trottare lungo le pareti della sala, come fosse, appunto, in un maneggio. L’accostamento casuale e decontestualizzato di immagini reperibili nella rete all’interno di siti –che fungono da contesto, appunto– sottolinea l’assoluta perdita di significato derivante da una fruizione schizofrenica dell’informazione visiva.
Nel grande cortile, collegato mediante due rampe di scale direttamente alla project room, si trovano ancora scale. Sono quelle di Climb at your own risk: installazione site specific che rammenta, mediante una metafora fisica, il pericolo insito nella fruizione intellettuale dell’arte. Esperienza che può provocare ascensioni mistiche ma anche sonore ricadute, tali da rendere quasi consigliabile l’istituzione della firma di una liberatoria all’atto dell’accesso al museo.
Il meccanismo del ready made, tanto caro agli artisti del Novecento, con Closky si adegua al mutare dei tempi. Oggi gli objet trouvé si trovano su internet, nei cantieri edili, nelle frasi che rimettono il rischio a responsabilità soggettive. Ma nell’arte di Closky i riferimenti sono più classici di quanto sembrino in apparenza, fino a trovare puntuali paralleli nella collezione permanente dello stesso museo che ospita la mostra. L’Uovo n.29 di Piero Manzoni, firmato con la sua impronta digitale, si trasforma nelle scalette d’acciaio siglate con targhetta anti-rischio dall’artista, il bleu dell’assenza di segnale nei video di Manège richiama il monocromo di Yves Klein presente in collezione. E mai accostamento fu più felice della presenza di Manège nella stessa sala che ospitò i cavalli di Jannis Kounellis nel maggio scorso.
Lascia perplessi il progetto editoriale SEX (ed. Electa, 2007).
Si tratta di un libro fotografico fatto di oggetti trovati per caso, in casa o per strada, che fotografati da una certa angolazione diventano simboli fallici, vaginali o anali, che si accoppiano, di volta in volta, a due a due, nelle pagine a fronte del libro. Una testimonianza visiva dell’odierna banalità dell’approccio al sesso proposta dai media.
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giovanna procaccini
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