A settembre è tornata l’arte all’aperto nella Certosa di San Lorenzo, proposta come festa barocca in grado di ribaltare il “
clima diurno nel clima notturno”. Per l’architettura dei giardini sono allestiti: nella cella 26, recuperata dalle alluvioni di fine Ottocento, il progetto vincitore
Deconstruktion dell’Università di Dresda; e, nella cella 25, dalle suggestioni più forti,
Riflessioni dello studio
Archi-Pelagus, vincitore online,
ortus conclusus minimale, dall’equilibrio calibrato tra cipressi sul fondo e specchi d’acqua circolari tracciati nel verde, a esaltare la dimensione immateriale e onirica, al chiaro di luna.
Riscopriamo le opere in comodato, come l’imponente
Pensatoio di
Hidetoshi Nagasawa, allocato attiguamente alla rassegna di fotografia dall’obiettivo puntato su identità urbana e architetture:
scorrono l’Albania di
Francesco Acone, la Beirut ferita di
Gabriele Basilico, la poetica del viaggio di
Luca Campigotto, il frammento autonomo di
Lorenza Lucchi Basili, la visionaria Piazza Navona all’imbrunire di
Raffaella Maraniello, la piscina metafisica di
Sergio Picciaredda.
Tra i video emerge
Symbiosis di
Mary Zygoury, sottile evocazione del “declassamento” di Jorge Louis Borges da bibliotecario illuminato a “
pubblico ispettore del pollame” sotto il governo Peron. Finezza esecutiva, per la “memoria” impressa nelle stratificazioni pittoriche di
Lawrence Carroll e per quella materia, più paziente, di
Paolo Piccozza: un’incantevole foresta pietrificata fatta di smalto, carta velina e bitume.
Quindi,
Aicha di
Gianfranco Baruchello, che intende il “verde” come scelta di vita (negli anni ’70 fondò una sorta di comune, l’Agricola Cornelia): il candido olio è siglato dal tipico alfabeto segnico, ridotto all’osso. Ironizza con la difficoltà di districarsi nel parco
Voi siete qui di
Giancarlo Neri. Coerente con la recente produzione,
Francesco Arena colloca sotto lo scalone due enigmatiche casse, custodi di aureole luminose; discrete, mimetizzate tra l’erba, l’iscrizione metallica
Burning-humus di
Bartolomeo Migliore e la citazione del pavimento della Cappella del Tesoro della Certosa, eseguita da
Flavio Favelli;
e poi le sculture di
Krzysztof Bednarski, di
Chiara Camoni e tant’altro, fra interventi suggestivi o superflui.
Su tutto, spicca la magnificenza e purezza della
Neviera di
Matteo Fraterno: mixa storia del luogo (antica cisterna per la neve) e sublime (per le notevoli profondità e larghezza dello strapiombo, in asse con la montagna), perfezione di esecuzione e dialogo coi materiali autoctoni (sabbia vulcanica, lastre di pietra lavica, ghiaccio).
Il linguaggio della performance s’incarna nel progetto nomade di
Electronic Art Cafè, che mette in scena
Salvator Dalí, nel racconto teatrale allocato nella “stanza del verde” e ispirato alla
pièce architettonico-musicale di
La Monte Young, a cura di
Domenico Mennillo, e l’emozionante spettacolo-installazione-memoriale
La classe morta di
Guidarello Pontani.
Le opere restano in permanenza sino a gennaio, ma sono i momenti corali – con il pubblico curioso e spaesato, “fortunosamente” guidato dal
lumen del curatore – il tassello mancante di
Fresco Bosco, all’indomani dell’affollato opening.