Effettivamente, come ciliegina sulla torta è alquanto ingombrante. Però così vuole equazione per il destriero di tufo, posto da Mimmo Paladino (Paduli, 1948; vive tra Paduli, Milano e Roma) sul fastigio del Madre quale corona di un’epica impresa: il restauro firmato da Alvaro Siza, stralodato per aver preservato la struttura dell’ex Provveditorato agli Studi ed aver così dato una limpida lezione di stile ai suoi colleghi archistar. Ed era inevitabile che toccasse al sannita di multiforme ingegno l’onore di suggellare una delle più serrate e cospicue operazioni culturali dell’era bassoliniana, la lunga stagione dell’“arte obbligata” iniziata nel 1995 proprio sotto il segno del cavallo. Allora arrancante sulla Montagna di sale in piazza Plebiscito, oggi stagliato, baldanzoso e solenne, in cima al roof garden di Donnaregina, monumento equestre ad una committenza pubblica esigente e lanciata a spron battuto verso le sfide di un calendario già programmato fino al 2009.
Un consumato mestiere delibera la costruzione di una delle forme più care al re Mida dell’archetipo, assemblata a tempo di record con materiali selezionati tanto per i valori estetico- cromatici, quanto per i riferimenti antropologici e simbolici: la calda, porosa, fragile pietra dorata che-più-napoletana-non-si-può, montata su un’anima d’acciaio non sempre presente in una città che unisce la ricchezza dell’oro alla povertà delle tegole che non di rado le cadono sulla testa, protetta dal luccichio metallico di una maschera marziale. Insomma, dallo zoccolo alla criniera (per un’altezza di oltre 4 metri) l’affusolato quadrupede è acconciamente bardato e, invisibile dalla strada, si riserva solo ai frequentatori dei piani alti, candidandosi, secondo i voti del Governatore, ad entrare tra le icone dello skyline partenopeo (anche se non tutta l’edilizia retrostante appare degno fondale…). Ad assicurargli memoria imperitura ci pensa comunque il merchandising, offrendo nel bookshop del museo le belle statuine del purosangue a prezzi popolari (35 euro quella d’acciaio, 40 quella di ottone).
Impossibile, invece, portarsi a casa i Sette scudi sistemati nel cortile interno che, nell’ottica di uno sfruttamento intensivo degli 8000 metri quadri di superficie espositiva, ha già ospitato finora la suggestiva installazione di Antony Gormley e quella, decisamente meno indovinata, di Claude Closky. Anche qui l’artista si disimpegna con gusto scenografico, riempiendo lo spazio senza congestionarlo, con piglio imponente ma non opprimente, nonostante le notevoli dimensioni dei dischi in ferro, terracotta e legno, “suturati” da maniglie metalliche e carichi di tutto il campionario oggettuale adoperato per il film e la mostra sul Quijote (tenutasi nel 2005 al museo di Capodimonte), organizzato però per “pacchetti” separati: scarpe scalcagnate, feltri alla Beuys, fucili arrugginiti, pignatte sfondate, ombrelli rotti, grucce conficcate come croci cimiteriali, numeri sparsi. Chiavi arrugginite e cigolanti di una spedita metodologia di segno che delinea il ritratto frammentario di un eroe vagabondo, un po’ picaro, un po’ buon soldato Svejk, in guerra quotidiana col quotidiano, dove la preposizione articolata vale soprattutto da complemento di mezzo.
Rottami di una guitta gigantomachia, rissa da cortile durante la quale dai balconi è stato lanciato di tutto e poi sparpagliato dalle braccia ciclopiche dei mulini a vento. Un soffio d’anima popolare sulla greve staticità d’un intervento che, come suol dirsi in “artese”, funziona. Poema eroicomico a lode e gloria dei cavalieri che fecero l’impresa coi fondi europei.
anita pepe
mostra visitata il 10 maggio 2007
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leggere Anita è come ballare un tango senza averlo mai conosciuto..complimenti:)
Certo in città se ne sentiva proprio il bisogno del cavallo di paladino.
da queste parti siamo proprio fortunati.
bè...aspettiamo solo il gigante-cavaliere che si venga a riprendere i suoi scudi ed il suo cavallo...che sia Bassolino???
Anita superba...come sempre!
grande pepper!
Brutta l'installazione con i 7 scudi, pretestuosa, non se ne può più di un Paladino ridondante e ripetitivo! E Rinnovati!
E come al solito si critica...
Quando la vole non arriva all' uva dice che è acerba
vorreste essere voi li.....ma lui è paladino e voi no....
Liberiamoci da Paladino,Kounelis e Bassolino trio diabolico e arruffone,che non fa nascere niente di buono ma solo soldi e privilegi x loro.Quegli scudi in quel contesto e` una offesa alla sensibilita artistica Paladino e` un somaro......